Musica consigliata: A letter to Elise, The Cure
Di Elisa Di Francisca conoscevo
solo l’urlo di Londra 2012. Pochi giorni dopo avevo dimenticato il suo cognome.
Nonostante il successo, se mi avessero chiesto in un quiz televisivo due nomi
di schermitrici, avrei comunque elaborato in fretta Vezzali e Trillini. Un po’
come accade con gli Abbagnale per il canottaggio. Ci sono sportivi che
instaurano un rapporto con la storia indissolubile, tutti preleviamo con
sicurezza i loro nomi per ricordare le glorie nazionali in determinate
discipline.
Elisa, comunque, a distanza di
soli quattro anni, è riuscita a salire in cima ad ogni graduatoria con un gesto
che, finalmente, non è passato inosservato. Ricevere una medaglia d’argento e
alzare al cielo, sorridendo, la bandiera dell’Unione Europea. Provo a raccontare
le mie semplici impressioni.
Premessa breve. Lo sport è uno
degli strumenti più potenti di aggregazione, avvicina uomini ed istituzioni
perché abbatte le differenze linguistiche e si sviluppa in un contesto di
regole note e comprensibili a quasi tutti i popoli del pianeta. Una palla che
rotola verso una rete è un prodotto della fisica che innesca le stesse
emozioni, superando ogni barriera geografica, strumento per eccellenza contro
ogni forma di discriminazione razziale. Nota è la risposta di Zdenek Zeman, quando afferma che
“la grande popolarità del calcio nel mondo non è dovuta alle farmacie o agli
uffici finanziari, bensì al fatto che in ogni piazza, in ogni angolo del mondo
c'è un bambino che gioca e si diverte con un pallone tra i piedi”.
Pochi sportivi, purtroppo, hanno
la consapevolezza di quanto un loro gesto possa scatenare repliche positive a
livello internazionale. Gli sportivi godono di una notevole visibilità mediatica e
potrebbero sfruttare diversamente quella particolare aura derivante dalla
potenza e dalla perfezione di un gesto atletico. Gli sportivi, quindi,
dovrebbero sostenere con molta più frequenza cause collettive, come diritti civili
e difesa dell’ambiente. Invece li troviamo spesso persi negli psico-drammi del
doping, rivestono con disinvoltura il ruolo dei violenti, sono distanti anni
luce dai problemi che devastano i loro paesi d’origine. Senza andare molto
lontano, con i goal si festeggiano amori e nascite, se non sfottò memorabili
come “Vi ho purgato ancora”. Si utilizzano quindi finestre mediatiche di portata rilevante per autocelebrare la gloria e le gioie personali,
già ben alimentate da una progressiva e bulimica venerazione dei fan.
Elisa, invece, nel bel mezzo di
una Olimpiade sudamericana e gialloverde come i colori del mio rione, nel
periodo di maggiore crisi identitaria dell’Unione Europea, ha sfruttato la sua parentesi di gloria per lanciare un messaggio di grande apertura, spogliandolo da
ogni interesse personale e condividendo un invito che neanche i più
intelligenti vertici di Bruxelles riescono a lanciare con tanto coraggio e
semplicità: “Vorrei che la gente capisse che l’unione fa la forza. Al
terrorismo dobbiamo rispondere con l’amore per la vita”. L’amore per la vita è
la lotta alla disgregazione, se già è difficile far dialogare un mondo intero,
proviamo almeno a far dialogare Paesi che condividono storia, valori, documenti, targhe, leggi, roaming telefonico e,
per quanto bistrattata, la moneta.
È proprio vero, nella disgregazione è
molto più facile chiudere le porte che parlarsi. È così, l’odio ha le
labbra sottili, bravissime a sibilare, ma incapaci di allargarsi ed esprimere apertamente semplici verità. Elisa ha comprato la piccola bandiera a dodici stelle in un mercatino.
Mi piace immaginare una donna che invece di comprare una baguette o un collant
tra le bancarelle, ripone nel sacchetto e porta a casa una bandiera dell’Europa
da far sventolare ai propri figli, condizione essenziale per garantire loro la
crescita in un futuro di pace. Alla domanda: “se non avesse conquistato
l’argento, come sarebbe finita?”, lei ha risposto: “Avrei trovato il modo di
esporla”.
Questa è una risposta da donna.
Le donne che erediteranno la terra, per dirla alla Aldo Cazzullo, le donne che
vincono ogni cosa perché il fine è più forte del mezzo, le donne che mentre armeggiano
di spada per ritagliarsi un posto nel mondo, contribuiscono ad allevare altri uomini e altre donne, mettendo in campo (o in pedana) il loro meglio.
Sempre.
Da agosto 2016, ogni volta che
guardo Jesi da un treno regionale che periodicamente mi porta verso Fabriano, ogni volta che fendo le Marche per amore di una donna, penso a Elisa, alla sua
chiara idea di Europa, alle sue parole: “Ci sono nata, già nella mia Jesi, con
certi valori dentro. Con l'Europa dentro. Siamo figli degli stati in cui
nasciamo”. Siamo terrorizzati dall’idea di mettere al mondo figli
irriconoscenti, che vedono solo nelle famiglie altrui la comprensione e la
salvezza. E allora, invece di cercare ogni giorno altrove l’elisir contro i
nostri mali, invece di genufletterci di fronte a modelli aggressivi che
riporteranno il mondo a un drammatico squilibrio, impariamo a riconsiderare le
garanzie che il vecchio continente ancora esprime.
In un libricino di
provincia, tempo fa, ho trovato questa bella storiella di ispirazione
mitologica: "Dopo queste parole l'uomo si sentì contento di sé e più
sereno e con molta gentilezza si offrì di accompagnare la bella donna fino alla
casa. Questa accettò, sembrava di buon grado, e mentre camminavano Aiace si
accorse che la bella Dafne gli teneva stretta la mano. Molto sorpreso, ma anche
molto felice Aiace la guidò verso casa sua, non verso quella di Dafne e,
giuntovi, la invitò ad entrare. Dafne arrossì visibilmente, poi prendendogli
entrambe le mani e guardandolo con forza dritto negli occhi disse: bada, uomo,
se entrerò nella tua casa non ne uscirò mai più". I Paesi Europei
dovrebbero prendere esempio, arrossire per tutto il tempo necessario prima di
entrare nell’Unione, ma una volta dentro dovrebbero difendere e valorizzare
giorno dopo giorno gli altissimi principi che regolano la vita e la convivenza
di 27 popoli. Avremo altre Brexit, lo so, ma prima o poi torneranno.
Europa era una donna. Erri De
Luca scrive (raggiungendo picchi letterari altissimi in un libro che parla di vette, camosci e cacciatori) che “un uomo che non frequenta donne dimentica che
hanno di superiore la volontà. Un uomo non arriva a volere quanto una donna, si
distrae, si interrompe, una donna no. Davanti a lei si trova sempre
incalzato…Un uomo che non frequenta donne è un uomo senza. Non è un uomo e
basta, nient’altro da aggiungere. È un uomo senza. Può dimenticarselo, ma
quando si ritrova davanti, lo sa di nuovo”.
Torniamo a far prevalere la vera
natura dell’Europa, impariamo ad essere più coraggiosi, più europei, più
donne. Elisa Di Francisca, per me, ha vinto l’oro.
"...è divenuto raro che un uomo, con una posizione trainante in una delle scienze, riesca allo stesso tempo a rendere un valido servizio alla comunità nella sfera dell'organizzazione nazionale e delle politiche internazionali. Tale servizio non richiede solo energia, intuito e una reputazione basata su solidi risultati, ma anche libertà dal pregiudizio nazionale e una profonda dedizione ai fini comuni, cosa rara nei nostri giorni". (A. Einstein)
© RIPRODUZIONE RISERVATA - Foto LaPresse - Illustrazione Ubaldo Spina 2016
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