lunedì 5 dicembre 2016

BLU,APP


Musica consigliata: L'oceano di silenzio, Franco Battiato

"Un oceano di silenzio scorre lento,
senza centro né principio,
cosa avrei visto del mondo
senza questa luce che illumina,
i miei pensieri neri".

BLU,APP è un piccolo contributo, mio e di Giovanna, al progetto "Da casa nasce casa", l'iniziativa della Delegazione ADI Puglia e Basilicata a favore delle popolazioni colpite dal terremoto del Centro Italia. Una casetta dipinta di blu con una porta bianca, aperta e popolata di gente. Al suo interno compaiono nuovamente gli uomini, con le loro speranze di ritorno a una vita normale e le grandi sofferenze cui non potranno sottrarsi prima di un definitivo superamento dell'emergenza. Abbiamo così rappresentato l'uomo in preghiera, che recepisce le grida alle sue spalle e le traduce in richieste d'aiuto, alcune verso il cielo, la restante maggioranza al livello del suolo. Abbiamo rappresentato un uomo che sembra ancora in attesa di essere estratto dalle macerie. E poi ci sono gli uomini che invitano ad entrare, simbolo del ritorno dei viandanti e del recupero dello spirito di accoglienza, e uomini appesi alle promesse, ad altri uomini, alla speranza di una natura clemente nell'inverno che avanza. In ultimo ci sono gli uomini che piangono, le lacrime che appartengono a ogni tragedia e spesso la rendono universale, in quella improvvisa immedesimazione che accomuna gli uomini ai propri simili. Il nostro augurio, il cuore del progetto, è il ritorno della luce in ogni abitazione colpita dal sisma, un mini LED centrale rispetto a ogni desiderio, acceso e protetto da una finestrella trasparente. La luce renderà vive queste comunità sotto un cielo notturno colorato di blu e ci farà sentire il tepore dell'aggregazione quando rivedremo da un'automobile in corsa quei paesi abbarbicati sulle pendici dei monti, splendidi nelle loro armoniche composizioni viste dal basso di una carreggiata. Solo allora sapremo che l'Appennino non è morto. La sua tenacia avrà salvaguardato quei valori di vicinanza, lentezza e poesia che tutto il mondo ancora ci invidia.

BLU,APP è una delle settanta casette decorate da artisti, designer e architetti in esposizione al MUST di Lecce dal 13 al 15 Dicembre 2016. L'asta benefica è prevista il 16 Dicembre, il ricavato sarà accreditato direttamente sul conto della Croce Rossa Italiana. La gallery è disponibile al seguente link de "Il Corriere della Sera - Living".

"Gli abitanti del vecchio paese non hanno avuto questa tenacia. Dopo la tragedia si sono disgregati, hanno aperto vuoti nel mosaico sociale...La forza generata dallo stare l'uno accanto all'altro è andata distrutta. Chi ne ha fatto le spese, dopo oltre quarant'anni, è stato il vecchio paese. Sta crollando giorno dopo giorno, inesorabilmente, tetto dopo tetto, muro dopo muro, gli uni addosso agli altri. Amen". (Mauro Corona, I Fantasmi di pietra)



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mercoledì 2 novembre 2016

Come gazze sorprese a beccare ricci stirati sull'asfalto


Musica consigliata: I treni a Vapore, Fiorella Mannoia

Nuovo cimitero di Oria. Capitolo due. Continua la mia personale riflessione su quali siano state le intenzioni e quali le conseguenze di un’operazione così anonima quanto impattante dal punto di vista sociale, urbanistico e ambientale. Questo post ospita in pancia una storia vera, si può fregiare quindi del titolo di coda “tratto da una storia vera” e, nel rispetto delle procedure, anticipo che i personaggi sono realmente esistiti e si tutelano dalle pubbliche opinioni grazie a nomi di pura fantasia.

<<Ubaldo questa è una storia molto triste e, a mio avviso, di grande violenza morale. Penso che le pratiche di riesumazione non dovrebbero proprio esistere! Abbiamo riesumato mio padre dopo 21 anni perché erano scaduti i termini di affitto per i loculi comunali. Dopo aver appreso questa notizia attraverso un misero biglietto, affisso con poca eleganza e molto nastro adesivo vicino alla foto di mio padre, incassato il colpo, ho parlato sia con chi si occupa di queste pratiche sia con l'ufficio tecnico comunale, chiedendo innanzitutto una proroga. Mi è stata respinta. Spaventata dalla possibilità di dovermi ritrovare in questa situazione tra 20 anni, ho chiesto la possibilità di acquistare un loculo oppure un lotto per poter costruire una casa eterna per mio padre. Mi hanno risposto: “non ci sono loculi e non c’è alcuna possibilità di edificare”. Sono rimasta basita, soprattutto per quanto riguarda la mancanza di logica in tutto questo. Mi chiedete di riesumarlo, ma dove lo metto? Come se non bastasse, ho solo pochi giorni per trovargli un posto, una sistemazione dignitosa. Ho proposto con ironia di poterlo riportare temporaneamente a casa, almeno lì è al sicuro! Le soluzioni erano due: trovare un posto (significava elemosinare uno spazio in prestito, chiedere a qualcuno, non so...) oppure "appoggiarlo" (queste le parole usate) nella "fossa comune", insieme a decine di bare impilate l'una sull'altra nei sotterranei del cimitero, quelle aree che inconsapevolmente calpestiamo quando visitiamo i nostri defunti. Un posto tetro, una botola, si scende giù con una scala e poi si chiude il tutto, come fosse una manutenzione fognaria, apri e chiudi il tombino. Un posto che toglierebbe la dignità anche al peggiore dei malavitosi. Messa con le spalle al muro sono stata costretta a prendere in prestito il loculo di un parente. Solo un prestito, perché il parente non è proprio giovanissimo e quel loculo, realisticamente, potrebbe servire a lui in tempi non molto lontani...mi hanno promesso che mi daranno la possibilità di comprare un lotto quando e se uscirà un bando. Un lotto costa 5.000,00 euro e per legge hai 3 anni di tempo per poter edificare. Mi dicono continuamente che le aree edificabili non sono disponibili, non ci sono loculi, non c'è nulla. Mi sono recata più volte al cimitero, nella sua estensione ho contato più di 22 lotti ancora da edificare...mi sto ancora chiedendo chi sono coloro che hanno acquistato e se sono trascorsi i tre anni imposti dal regolamento, perché se le regole vanno rispettate, come io ho traslocato mio padre riesumandolo dopo 20 anni (“serve il posto!”, mi hanno detto) così questi signori che non hanno ancora edificato su questi 22 terreni dovrebbero dare ad altri la possibilità di farlo. Concludo dicendo che odio queste case infernali per i morti, ma questa esperienza mi ha portato a pensare che la mediocrità di questo paese ti costringe ad adeguarti a tali squallori. L’alternativa, altrimenti, sarebbe un bel tuffo nella fossa comune. È stata una vicenda dolorosa, rivedere la bara ricoperta di ragnatele e consumata dal tempo...e per quanto mi riguarda è stato come togliermi la casa. Quello era il mio posto, sono cresciuta sul quel muretto, guardandolo sempre come un riferimento fisico e spirituale per la mia esistenza. I papà sono un grande punto di riferimento e il mio era lì! Ora mi riesce difficile andare a trovarlo. Devo salire al quarto piano con una scala e so che lui non è contento. Gli chiedo scusa per non essere stata in grado di evitare tutto ciò e per il fatto che dovrò scomodarlo ancora, è pur sempre una soluzione provvisoria. Ogni tanto mi chiedo se quest’uomo, che tanto ha sofferto in vita, possa almeno un giorno dormire in pace>>.

La storia di Barbara R. offre alcuni spunti emotivi di altissimo livello, che si sviluppano nella vicenda personale e si alimentano delle drammatiche storture generate da politiche di basso livello, decisamente basate sulla mercificazione di spazi e valori.
Questa vicenda descrive in dettaglio il lato oscuro prodotto da un confuso agglomerato di cemento che ha la presunzione, solo perché di fregia di croci piccole e grandi, di essere il luogo ultimo dove si restituisce significato alla parola uguaglianza. Esistono quindi morti di serie A e morti di serie B. I futuri morti di serie A si sono accaparrati un posto nei condomini crociati, ma nel frattempo le cappelle funerarie sono quasi tutte vuote e i morti di serie B, oltre ad essere realmente deceduti, sono anche dei potenziali prossimi sfollati. In altre parole non vivono in pace la loro morte, anzi emigrano di qua e di là, in attesa che qualcuno di buon cuore li ospiti per garantirgli di tanto in tanto almeno un fiore. Forse il messaggio non è chiaro. Abbiamo dato la possibilità di devastare un colle per costruire fantasmi di pietra che ospiteranno salme senza mai colmarsi nei prossimi 50 anni, mentre la gente senza possibilità o agganci vari vive il dramma di concessioni in scadenza e non gode alcun diritto cimiteriale. Un tempo esistevano confraternite e società ope-artigiane, ora neanche indossare un abito da confratello durante la processione dei Misteri può dare questo privilegio.

In queste ultime settimane, per motivi professionali e associativi, sono stato chiamato ad approfondire e a interrogarmi sul rapporto tra etica e mercato. Amministratori ciechi, poco lungimiranti, complici se non totalmente disonesti, hanno basato le loro scelte sulla possibilità di lasciare molto a pochi e poco a molti. Il mercato è entrato in aree che non dovrebbero essere governate da logiche di mercato, ovvero quelle aree che riguardano i diritti naturali e sociali di ogni individuo in un paese civile. Il diritto alla sepoltura è un diritto naturale e sociale al tempo stesso. Invece i politici hanno preferito fare cassa, hanno sostenuto il mercato delle costruzioni, ricordando che esiste ciò che ha un prezzo, ma dimenticando che esiste ciò che ha una dignità. Un vero politico dovrebbe essere formato ad una precisa valutazione delle conseguenze.
In tutto ciò, sento di dover manifestare anche una profonda delusione nei confronti del silenzio e dell’immobilismo della chiesa, gruppo allargato e sensibile di prelati, sacerdoti e fedeli che dovrebbe salvaguardare quei valori oggettivi che ci appartengono in quanto essere umani. La chiesa non c’era, la chiesa non c’è. Nessuna interrogazione. Nessuna denuncia. Eppure il culto dei morti le appartiene e, se spinta da ideali francescani, dovrebbe appartenerle anche il culto del creato, inteso come ecosistema da salvaguardare. Abbiamo benedetto edifici, non cappelle, e chi si ritrova in casa il morto sfollato nutre un certo rancore verso chi predica che la morte è davvero uguale per tutti.

Non ho molto altro da raccontare. Vorrei immaginare una commemorazione dei defunti diversa, tra barriere di cipressi le cui cime sono avvolte dalla nebbia, in un’atmosfera mistica di luci votive e croci nel terreno che si fanno compagnia l’una con l’altra, con schiere di persone silenziose a calpestare foglie autunnali in un parco urbano dedicato a chi non c’è più. Per l’ennesimo anno saremo soffocati da automobili e asfalti, costretti a osservare finte pergamene marmoree dove il committente di turno si bea nell’aver detto al mondo intero che quell’orrore di costruzione è della famiglia vattelappesca. Con questo post ho voluto accelerare verso di voi, gazze della peggior specie che fino all’ultimo istante vi siete cibate dei resti di poveri ricci già stirati sull’asfalto, rappresentanti volatili di una società senza memoria e terribilmente ingiusta. 

Riposino (veramente) in pace. Così sia.  

"Cielo y tierra pasaran, mas su palabra no pasarà" (Mt 24,35)

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venerdì 29 luglio 2016

Oh mia cara, mia cara, mia cara...


Musica consigliata: "Che coss'e l'amor, Vinicio Capossela"

Probabilmente sul palco ci siamo da sempre, ogni giorno un palco ci attende, più o meno alto, di legno massello o di aria leggera, così ampio da perdersi o così stretto da soffocarci dentro. Ogni volta che sali sui palchi della tua quotidianità, provi ad essere te stesso o comunque a non dare un'idea di te troppo distante da quella che hai sempre cercato di tutelare, per la tua vita, la tua professione, la tua reputazione, o semplicemente per il tuo essere. Il teatro mi ha reso vulnerabile, che bella sensazione la vulnerabilità, le ossa a terra, la tensione, invece, alle stelle, l'urina che bussa, la memoria in vacanza prima ancora che Agosto faccia il suo corso. Ieri sera ero un altro, e non conoscendo chi di me avrei spedito su quel palco, avevo paura di lui, avevo paura che non fosse all'altezza. Non potevo raccomandarmi in alcun modo, perché era come fosse sordo dinanzi alle mie raccomandazioni. Sapere che qualcuno con il tuo stesso corpo provi a ricominciare una nuova vita, aiuta la tua innata propensione all'eterna giovinezza. Il teatro mi ha reso più utile e completo, ha sciolto la mia forma annegandomi in un secchio di arte informale (finalmente), ma, soprattutto, mi ha reso un uomo più libero. Ora andiamo Ferroni, via, via, vieni via con me!

Grazie Ka-tet, grazie amici, dal primo saluto in via Manzoni il 29 settembre dell'anno 2015, vi porgo dieci mesi di riconoscenza.

"E ai giovani che volessero fare teatro cosa consiglia? "Di non sedersi mai. Non basta il talento per riuscire, senza esercizio ci si ferma, si resta a un livello basso; nella vita e nel lavoro, ci vuole soprattutto un lavoro su se stessi. Bisogna esercitarsi, provare, studiare, cercare di cambiare sempre. Ma questo vale per tutto, mica solo per il teatro." (Franca Valeri in una intervista a Mario Calabresi)

© RIPRODUZIONE RISERVATA - Foto di Giuseppe Cavallo

lunedì 13 giugno 2016

Fermata Cittadella della Ricerca


Musica consigliata: "Le vent nous portera", Noir Desir"

Il 3 Ottobre 1839 fu inaugurata la prima linea ferroviaria "italiana", la Napoli-Portici, sulla quale in un solo mese viaggiarono circa 60 mila persone. Oggi, a distanza di 177 anni si inaugurano le fermate "Cittadella della Ricerca" e "Ospedale Perrino" sulla tratta Taranto-Brindisi. Un treno, la prima grande espressione dell'età contemporanea, il simbolo della rivoluzione industriale e di quella società veloce che ne sarebbe stata figlia, collegherà per la prima volta due luoghi intermedi, due fermate non riconducibili a quelle aggregazioni di case e di uomini chiamate paesi. 
Non mi interessa sottolineare il vuoto mediatico, probabilmente in pochi sanno interpretare la portata simbolica di questo evento. Desidero solo trasferire brevi sensazioni sull'argomento, tracciate a braccio a poche ore dal primo treno che alle 6:16 è partito dalla mia stazione per fermarsi, senza nastri e senza fanfare, presso le nuove destinazioni.

Bla bla car, la community di carpooling, calcola che la riduzione di emissioni di CO2 sulla tratta Oria-Cittadella della Ricerca, ottenuta grazie alla condivisione dell'automobile, è pari a 9 kg. Nove chilogrammi! Immaginate che, ogni volta che raggiungete i centri commerciali dislocati lungo la via Appia, i vostri figli rischiano di respirare 9 kg di anidride carbonica per singola automobile. Sicuramente è un buon monito per guardare le quattroruote con occhi diversi. 
La linea Taranto-Brindisi, elettrificata, sembra fortemente sotto-utilizzata, eppure collega due capoluoghi di provincia che da soli registrano circa 290.000 residenti. Attraversa centri urbani di medie dimensioni come Grottaglie, Francavilla Fontana e Mesagne. Il mio paese si può fregiare di una stazione delle Ferrovie dello Stato, ma la cosa non sembra interessare più di tanto. Chiedetelo a tutti i residenti nei comuni senza rotaie, a coloro che abitano in comunità agricole o montane distanti dalle rotte che rendono sostenibile un collegamento ferroviario, chiedete loro cosa rappresenta l'esistenza di una ferrovia di provincia, solo dal punto di vista psicologico è un modo per non sentirsi fuori dai giochi.
Di recente ho preso un treno Oria-Brindisi per raggiungere l'aeroporto Papola-Casale. Partenza alle 19:23, arrivo a Brindisi alle 19:58, autobus in attesa e collegamento immediato per l'aeroporto. In meno di un'ora ero all'ingresso delle partenze, costo del tragitto € 3,50 (€ 2,50 per il treno, € 1,00 per la linea urbana STP). Si dice che in Italia non funziona niente, ma Easyjet mi aveva regolarmente a bordo, ho risparmiato un'andata e un ritorno ai miei accompagnatori e qualche sacchetto di CO2 alle vie respiratorie dei bambini.

Le fermate "Cittadella" e "Perrino" conferiscono alla linea Taranto-Brindisi le sembianze di una metropolitana di superficie. I 70 km che separano Taranto da Brindisi, infatti, corrispondono più o meno all'estensione dell'agglomerato urbano di una città come Londra. In futuro si potrebbero progettare nuove fermate "Centro commerciale Auchan" e "Chiesa di Gallana" (permettetemi il campanilismo, ma non è poi un'idea così bislacca, la promozione della cultura ferroviaria mediante l'organizzazione di viaggi con treni storici e turistici su linee dismesse o poco frequentate è in forte ascesa). Si tratterebbe di progettare l'esperienza e di condurre gruppi di turisti ad immergersi nella cultura storica e rurale d'entroterra, tra i tetti a tholos, gli ulivi secolari, le cicale e il profumo del pane cotto nel forno a legna.
La sola idea di chiamarla metropolitana ci fa sentire cittadini di serie A, contribuenti, studenti e business man privilegiati. E per certi versi lo siamo. Mediamente, in 20 minuti, potremo raggiungere il nostro posto di lavoro, magari portando gratuitamente a bordo una bicicletta nelle belle giornate di sole (come riporta la Carta dei Servizi Puglia a cura di Trenitalia - http://www.trenitalia.com/cms-file/allegati/trenitalia_2014/in_regione/newcsr_Puglia.pdf). Gli studenti, semmai le università torneranno ad investire nel parco scientifico, avranno 20 minuti in più per ripassare o per pregare sul buon esito dell'esame. In tanti potranno sonnecchiare e ascoltare musica. In molti approfitteranno del ripetersi degli incontri per abbordare la ragazza della loro vita. Nessuno avrà paura di forare una gomma o di subire un furto d'auto, ridurremo il numero degli incidenti stradali. Per raggiungere le stazioni saremo obbligati a percorrere quella quota residua di cammino che i nostri smartphone ci impongono quotidianamente per arrivare al fatidico tetto dei 10.000 passi. Pazienti, operatori sanitari e visitatori potranno raggiungere il più grande ospedale della provincia, non rischieranno cali di attenzione dovuti a cure o anestesie, non lasceranno bruciare le auto al sole e non saranno molestati dai parcheggiatori abusivi.

Oggi, a distanza di dieci anni dalla prima volta in cui questa possibilità iniziò a trapelare, si inaugurano due fermate. Il presente è la disponibilità di nuove infrastrutture, ma il futuro dipenderà dalla nostra capacità di cambiare modelli e stili di vita. Dovremmo avere lo stesso entusiasmo dei napoletani che videro passare il re a bordo della locomotiva, tornare a capire che il progresso non è nell'indipendenza del singolo, ma nella sostenibilità dei modelli collettivi. La mobilità è una sfida, una delle più grandi sfide che attendono l'uomo contemporaneo, il mezzo pubblico è un concetto tanto bistrattato quanto vitale per la sopravvivenza del genere umano.
Chiudo con un po' di sana ironia. Il cartello che segnala la presenza della nuova stazioncina riporta questo testo: "Fermata Cittadella della Ricerca". Mio padre, spietato osservatore di messaggi inutili, si metterebbe a ridere al solo pensiero che qualcuno abbia specificato trattasi di una fermata. Perchè? Cosa mai dovrebbe essere una banchina in prossimità di una rotaia? Un negozio? Una pista? Un punto panoramico su una distesa di ulivi? Oppure un invito ad un immobile silenzio prima di varcare i luoghi della scienza?
Oggi si inaugurano due fermate ferroviarie in provincia. Facciamone buon uso.


"Le stazioni sono una mia vecchia passione. Potrei passarci giornate intere, seduto in un angolo, a guardare quel che succede. Quale altro posto, meglio di una stazione, riflette lo spirito di un paese, lo stato d'animo della gente, i suoi problemi?" (T.Terzani)

© RIPRODUZIONE RISERVATA - Foto: "Incrocio di treni" (G. De Nittis - Barletta, Pinacoteca De Nittis - Palazzo della Marra)

venerdì 22 aprile 2016

Donare è libertà!



"Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva" (Luca 17,33)

Stefania si presentò in una domenica di luglio. Eravamo sul punto di chiudere i battenti, fare fagotto e andar via, un po' come gli ambulanti alla fine di una giornata di mercato. Era sola, salì le scale con la sua giovane e fresca leggiadria e chiese, con quella remota qualità un tempo chiamata educazione, "Buongiorno, vorrei donare!". Bisogna precisare che alcune donazioni d'estate si tingono di un rosso quasi messicano, hanno i tempi e i suoni blandi di una siesta. I volontari sperano, spolverano e archiviano. Medici, tecnici e infermieri chiacchierano e attendono l'ora del congedo. Tutto diviene gradualmente soporifero, il grosso dei prelievi si concentra nelle prime ore del mattino, in pochi sfidano l'afa delle 11 per provare a donare.

Stefania era sola, ripeto. Sola in una domenica d'estate, mentre la stragrande maggioranza dei suoi coetanei era probabilmente al mare, a rigirarsi nel letto con il ronzio della disco nelle orecchie o a scorrazzare in moto sbandierando la conquista della libertà estiva. Il volontariato non andrebbe analizzato per essere celebrato, ma queste situazioni meritano una lettura che supera la semplice registrazione di una giovane donatrice di sangue in una domenica d'estate.

Stefania era alla sua terza donazione. Le prime due, quelle liceali, le aveva affrontate in un contesto noto e sicuro, in mezzo ai suoi compagni di classe, in autunno e in primavera. Ha probabilmente beneficiato di un permesso e, anche se così non è stato, in ogni caso ha avuto il pubblico dell'istituto pronto ad applaudirla per il suo nobile gesto. Se l'AVIS avesse raggiunto le scuole negli anni della mia adolescenza, avremmo curato molte vite dall'egoismo. Sono sempre più convinto che le donazioni scolastiche siano alla base della formazione del futuro adulto e che molte di queste esperienze di volontariato e cittadinanza attiva andrebbero preparate tra le mura amiche di una classe.

In quel giorno d'estate, invece, Stefania non avrebbe avuto una platea, la mano stretta dalla compagna di banco seduta accanto al suo lettino, insegnanti pronti ad ammirare anche le sue doti extra-didattiche. Non avrebbe avuto crediti scolastici, né un permesso per tornare a casa in largo anticipo. Stefania era sola, era venuta a piedi, e avrebbe donato da sola in un camerone alle prese con una confusa fase di rapido sgombero.

Esiste un detto molto discutibile, più passano gli anni e più la gente sembra acquisire consapevolezza della sua apparente verità: "Nessuno fa niente per niente". Dove il primo far niente è l'azione da innescare, mentre il secondo niente è il tornaconto che, per i sostenitori del detto, è l'unica miccia che probabilmente accende i motori del mondo. Stefania, quel giorno, fece niente per niente, ne sono certo. Nessun rimborso, nessun premio in tasca, nessun passo indietro, nessuna espressione di paura sul suo viso, niente di niente. Stefania firmò le sue carte, con personalità andò incontro alla donazione di sangue, scacciò le mosche d'estate e compì il suo gesto con una personalità e una sicurezza disarmanti. A distanza di tempo, ho ancora chiaro quel ricordo e il ricordo di me che pensavo a lei come esempio per l'allargamento della futura consulta giovani: "E' la persona giusta, ha carattere, niente smorfie, scioltezza". Perché il bene si fa con scioltezza e senza clamori.

Ecco, il clamore. In un'era digitale dove lo "share" conta più del "make", sembra che fare del bene debba essere prima pubblicato e condiviso per poi essere effettivamente materializzato, concretizzato, attuato. Ho riflettuto a lungo sulla necessità di fotografarsi durante l'atto della donazione, con una sacca appesa che lentamente si riempie di vita da regalare a chi è meno fortunato. Per anni ho sostenuto l'idea che fosse un gesto fuori luogo, persino distante dai valori e dai principi di AVIS. Un gesto fariseo, se il bene si fa, gli altri devono quanto meno saperlo.

Oggi devo riconoscere di aver cambiato idea. Drasticamente. Esistono forze che hanno bisogno di essere respinte, contrastate, arginate. Esistono forze che comprimono i giovani verso modelli discutibili, inutili e a volte pericolosi. Perché se un giovane si fotografa senza mani al volante correndo ben oltre i limiti di velocità, con musica a palla e fumi vari nell'abitacolo, un altro giovane, il suo calviniano coetaneo dimezzato, non può fotografarsi disteso su un lettino impegnato nel compimento di una buona azione? Come vinceremo i mali e le follie del nostro tempo, se non adottando gli stessi strumenti di propaganda e visualizzando quanto bene da contrapporre possiamo produrre? E allora ben vengano i selfie della domenica mattina, rendiamo attrattivi i luoghi del bisogno, del volontariato, del dolore e dell'altruismo. Donare è libertà, libertà anche di farlo sapere agli altri.

Stefania, da allora, ha trascinato con sé nuove leve, che hanno conosciuto il viaggio, l'amore, la gioia di far parte di gruppi allargati a livello provinciale, regionale e nazionale. Dalle scuole superiori nuove volontarie, non ancora maggiorenni, si offrono di rinunciare alle loro passeggiate domenicali per accogliere i donatori. Il passaparola e il buon esempio creano fenomeni di replicazione impensabili.

Igor Cassina, noto ginnasta e testimonial AVIS, mi viene incontro per chiudere questo post di liberazione, con tutta la forza derivante dalle sue acrobazie. Igor ha detto: "Il fatto che gli altri non eseguano il mio movimento mi inorgoglisce parecchio. Eseguirlo mi ha consentito di vincere ad Atene. Non ci sono mezze misure: lo fai bene e arrivi lontano, sbagli e sei fuori". Igor non ha seguito la massa (sportiva) dei suoi avversari, è stata una voce fuori dal coro. AVIS, e la nostra società in generale, hanno bisogno di gente che al bivio sia capace e pronta a separarsi. Perché, sempre citando Igor, "...per quanto tu non abbia mai la certezza di ritrovare la sbarra, la sensazione del vuoto è bellissima".

"To promote the regular, anonymous, voluntary, non-remunerated gift of blood in all countries of the world" (Statutes of IFBDO. ARTICLE III - AIMS)

© RIPRODUZIONE RISERVATA - Foto: Miriam Dalsgaard - Donatori di sangue danesi