venerdì 6 gennaio 2017

La renna sul mandorlo

Musica consigliata: "La notte prima, Giovanni Allevi"


Non so cosa ricorderò di questo Natale. Nessuno slancio di poesia memorabile, molta confusione, nelle piazze e sulle tavole. Ho scoperto di recente il nome della città cinese che fabbrica il nostro Natale: Yiwu. I cinesi, notoriamente un paese dove i cattolici che riconoscono l’autorità del Papa sono considerati sovversivi, sono i principali produttori al mondo di allestimenti e luci natalizie, riversati in quantitativi spaventosi nei confini occidentali per far luccicare strade, abitazioni e luoghi del commercio in onore di un bambino che nasce.

Ma una cosa la ricorderò. La renna sul mandorlo. Nessuna renna, in vita sua, credo abbia mai immaginato di sostare all’ombra di un albero di mandorlo. Figuriamoci se abbia minimamente pensato di finirci sopra. Ebbene si. In contrada Gallana, nei giorni dello shopping compulsivo, dei presepi di plastica confezionati a Taiwan, dei terroristi travestiti da Babbo Natale, ho trovato una renna incastrata tra i polloni di un vecchio mandorlo, abbastanza vecchio da essere ormai improduttivo, ma non tanto da rimanere impassibile di fronte al tumultuoso e goffo arrivo di un ospite inaspettato. La renna sembra essere atterrata dopo un volo accidentale partito dagli estremi della troposfera, salvata dallo schianto solo grazie al provvidenziale aiuto dei rami del mandorlo coltivato ben al di sotto del parallelo che attraversa Rovaniemi, altresì detto Circolo Polare Artico.

Ecco, in realtà questo dirottamento ha un precedente, un evento scatenante. L’abbandono di sacchi di giocattoli tra gli uliveti secolari della stessa contrada. Ho provato, di fronte a quei cumuli di plastica colorata, a cercare un perché a tutto ciò. Non ci sono riuscito, e continuo a provarci senza risultati in una notte di Epifania che dovrebbe sversare nuovi fiumi di giocattoli per la stragrande maggioranza provenienti dal Paese del dragone e, se tutto va bene, posare qualche centimetro di neve fresca dolcemente offerto dalle correnti gelide da NE.

Disfarsi delle cose che non servono più (semmai una cosa cessi definitivamente di essere utile per qualcuno) nelle campagne altrui è già di per sé un gesto discutibile. Provate ad immaginare un adulto con dei figli già grandi e probabilmente (mi auguro) senza nipoti che, sul far della sera, in campagne desolate, posa dei sacconi neri sotto il primo ulivo disponibile. Per non farla sporca, sceglie il lato nascosto del tronco e, in un eccesso di fortuna, trova un esemplare provvisto di magnifiche cavità. È un’operazione che si deve chiudere in pochi secondi, guai ad essere scoperto da un passante ecologista che casualmente ha deciso di sfidare freddo e tenebre per una debole ronda notturna o per un po’ di jogging salutare.

Così, laddove avrei sperato di raccogliere olive nella stagione più povera della nostra produzione olearia, ho ritrovato un bel patrimonio da far invidia agli armadi di una ludoteca di provincia, perfettamente conservato e sparso senza criterio sulla terra umida di dicembre. Bambolotti dagli occhi azzurri, casette, costruzioni, vasini, con qualche piccola impurità come un vecchio paralume in vetro o un paio di scarpe Nike non del tutto consumate. La scena non era poi così distante dalle riprese televisive sugli asili bombardati in Medio Oriente, dove ti piange il cuore al solo pensiero che ordigni piovuti dall’alto abbiano cancellato piccole vite umane.

In questo trionfo di civiltà, il buon padre di famiglia nel ruolo di svuotacantine e riempiterreni (degli altri) avrà dimenticato il nostro amato peluche in auto. Riportarlo a casa avrebbe significato tornare sconfitti di fronte agli ordini di una moglie delirante per l’ormai inarrestabile occupazione di suolo domestico. E così, dal finestrino o dopo la seconda sosta da batticuore, la povera renna oltre a perdere i suoi eterni compagni di gioco ha subito anche un volo sul mandorlo, nell’ultimo gesto estremo di liberazione del nostro eroe nato ed educato in quel di Oria.

Esiste un tempo per ogni cosa. Anche il tempo dei giocattoli, prima o poi, in una famiglia termina. Ma quando un uomo compie un gesto simile, io credo si sia molto vicini a quello che chiamano punto di non ritorno. Non è un semplice grido contro il consumismo. E’ un grido contro il totale spaesamento dell’uomo, perso e smarrito, incapace di vedere oltre la vita e la natura delle cose, incapace di vedere risorse, ma solo rifiuti, incapace anche di pensare che quei giochi potranno essere un signor passatempo per piccoli meno fortunati. Non esiste una banca del giocattolo usato, è vero, abbiamo paura a toccare le nostre cose, figuriamoci se lasciassimo mettere le orecchie della nostra renna usata in bocca ai nostri figli. Ma il gesto del nostro eroe di Natale è l’anteprima del baratro, il mondo che ci aspetta, il mondo che annulla e sostituisce il precedente, il mondo che non lascia spazio alla valorizzazione delle cose perché talmente drogato di un nuovo che avanza e che tutto sommerge. Tutto vale il tempo di una pila, una volta esaurita, si cambia gioco e ci si tuffa in quel vortice fragoroso che sputa freneticamente oggetti da usare e divora senza capire dove e come oggetti da gettare.

L’Europa, in materia di giocattoli, si è spinta dove nessun altro Paese ha osato. Negli ultimi decenni ha prodotto direttive e linee guida per la sicurezza che hanno regolamentato con chiarezza e rigore questo mercato. Valutazione dei pericoli meccanici, fisici ed elettrici e di infiammabilità, valutazione dell’igiene e della radioattività, requisiti chimici, obblighi del fabbricante, del distributore e dell’importatore, schede contenenti i dati sulla sicurezza…Oggi i giocattoli europei, fieri di quella tradizione di altissima qualità che ha sempre contraddistinto i prodotti ludici continentali, artigianali e industriali, sono i più sicuri al mondo. Forse qualcosa in più andava fatto in materia di recupero, riuso e riciclo, bisognava andare oltre e regolamentare la circolarità di questo specifico settore ad altissima intensità di rinnovamento. Ci arriveremo, ma ora bisogna difendersi dalle invasioni e insegnare a genitori irresponsabili che non sempre la politica del low-cost premia e che la soddisfazione dei bisogni non sempre si basa su approcci quantitativi.

Non so cosa ricorderò di questo Natale. E ai Magi, nei loro ultimi chilometri, o alla vecchia con la scopa, in fase di atterraggio, mi verrebbe da chiedere di non portare nulla, di scioperare con eleganza dalla distribuzione di beni che porteranno nuovi sacchi neri nelle campagne e montagne di plastiche con circuiti elettronici ancora funzionanti nelle discariche.

Quanto al lanciatore di renne, sono certo che da piccolo nella calza avrà trovato noci e mandarini, forse del miele e anche una biglia. E avrà probabilmente sorriso di fronte a tanta magnanimità. Oggi è un uomo in stato confusionario come la società che lo ha visto invecchiare, un uomo che ha svenduto il suo ambiente e che viene tirato dalle offerte dei centri commerciali come un toro dal suo anello ben conficcato nelle narici. Forse un giorno condirà del pane con olio spremuto da olive prodotte da un albero contaminato da sversamenti accidentali di soluzione acida contenuta nelle batterie di vecchi giocattoli. Non so se sarà così abile a ricondurre l’inizio dei suoi mali alle gesta atletiche di un tempo nella categoria “abbandono illegale di rifiuti”. Sicuramente qualcuno gli ricorderà che in natura tutto si trasforma, tutto circola, tutto, quando meno te lo aspetti, torna al mittente.

Inizia a fioccare. Benvenuto inverno.

"Ecologia, non è una scienza né una politica, ma un'autentica guerra del Bene contro il Male, combattuta con armi di ogni specie e natura: ci s'incatena agli alberi che stanno per essere segati, si sfida una potenza nucleare con una goletta disperata, si liberano animali martiri...Utopia, naufragata, calunniata Utopia...Senza fanatismo, ma va fatta risuscitare. Senza, non respiriamo più". (Guido Ceronetti)


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