venerdì 27 novembre 2015

No surprises

Tempo fa, in un’intervista, Francesco Guccini rimpiangeva il fatto di non aver scritto la canzone “Luci a San Siro”, scritta e musicata come noto da Roberto Vecchioni. Il suo tono ironico era quello del “…m’ha fregato, avrei dovuto scriverla io”. Anche io riempio spesso la testa di questi pensieri che, per quanto inutili, lasciano amare o belle verità, dipende dai punti di vista. Io, nella mia vita, avrei voluto scrivere solo una canzone, quella. Una canzone sfornata nel 1997 dopo una lunga lievitazione, l’anno in cui la mia vita cambiava drasticamente e mi proiettava in quella zona anagrafica caratterizzata da una presunta maturità ad oltranza. 

La canzone si intitola “No surprises” dei Radiohead. Inutile presentarla al mondo o commentarla, si sa già tutto di lei. Una cantilena fuori di testa, una musicalità dolce e perfettamente equilibrata. Nei periodi particolari della mia esistenza, ascolto “No surprises” come sedativo, recupero fiducia e dichiaro pubblicamente niente allarmi e nessuna sorpresa.

Quindici giorni sono trascorsi dalle stragi di Parigi. Quindici giorni sono un tempo sufficientemente utile per ribaltare una sconfitta maturata all’andata, per scoprire di essere incinta, per far seccare un albero fingendo un attacco batterico o fungino, per vincere un ballottaggio e tornare a vestire indegnamente una fascia tricolore. Quindici giorni sono un tempo sufficientemente utile per dire, chiaramente, di non aver capito nulla delle stragi di Parigi. Per mia natura non commento a caldo. Di solito non commento a caldo. Non l’ho fatto nei giorni di Charlie, non l’ho fatto il 13 novembre. Mi piace riflettere in silenzio e, se mi riesce, pregare. Mi piace parlarne con gli amici, per sentirci parte di un dibattito internazionale nel quale la voce delle periferie del continente sembra non avere spazi. Questa sera, però, alla chiusura del saluto di Parigi, sento che il mio blog, se davvero desidera parlare d’Europa, deve esprimersi in qualche modo e tracciare almeno il ricordo del mio pensiero sui fatti.

Partiamo dalle soluzioni, non dalle cause. Sarei molto presuntuoso se fornissi la mia versione delle motivazioni che hanno portato agli attentati di Parigi. Esistono cose molto più grandi di noi e delle nostre menti, ci sono fior di persone, studenti, politici e diplomatici che possono e devono dire la loro. E’ giusto riconoscere i propri limiti. Il popolo dei social è vittima dell’opinionismo take-away, si rimbalzano migliaia di post frutto dell’ignoranza e dello sconcerto, non della ragione. E questo è un secondo attacco al Paese che ha dato i natali all’Illuminismo.

La mia prima soluzione, e forse unica, è molto semplice. C’è bisogno d’Europa. Non è la sola Francia, è l’intera Europa ad essere stata offesa. Se siamo tutti con la testa ai fiori e alle candele che lentamente si spengono nei luoghi del sangue è perché, inconsapevolmente, siamo tutti europei, condividiamo il lutto di un altro stato come se fosse il nostro, partecipiamo al suo dolore perché avrebbe colpito noi tutti allo stesso modo. Il primo monito è quindi questo. Quando parlerete male del nazionalismo francese, dell’ozio greco, dell’imperialismo economico della Merkel, della xenofobia ungherese, ricordate che esistono mali peggiori e che l’Europa è un contenitore di pace e di crescita che andrebbe difeso sempre, senza se e senza ma. Alcune forze politiche settentrionali, nominarle mi provoca spesso il mal di pancia, ora sono tutte filofrancesi quando fino a ieri guerreggiavano per questioni di quote latte e formaggerie varie. In questi giorni i francesi che attaccano i “musulmani” in Medio Oriente sono bravi, un esempio per noi italiani, bisogna estinguere ogni minaccia proveniente da un Islam la cui moderazione non è stata mai provata. Fino a ieri la Francia rappresentava le logiche malate dell’Europa sul campo, oggi è una eroina coraggiosa che sposa la causa leghista (ecco, lo sapevo, iniziano i dolorini…) contro il male comune.

Molti hanno scritto che le stragi del fanatismo islamico in Nigeria, Kenya, Libano, etc. non interessano, non fanno notizia e si ergono a difensori di Paesi che soffrono gli stessi attacchi terroristici, senza avere la giusta solidarietà e supporto degli occidentali. Non sono d’accordo, condividiamo le stesse paure e preghiamo gli stessi morti, ma il mondo è ancora piccolo e le regole della prossimità che si costruiscono nei secoli ci fanno sentire più vicini agli amici d’Oltralpe che non alle madri degli studenti di Nairobi. Ma non per questo sono, siamo meno devastati. Saremmo degli uomini senza dignità umana se classificassimo l’importanza delle stragi sulla base dei contesti geografici in cui si verificano.

Il modello Europeo. Altro spunto. Lavorare, uscire nel fine settimana, sentire il profumo della libertà, amare la vita. E’ questo il modello che è stato attaccato, sono stati presi di mira i luoghi dello svago e dell’intrattenimento, i luoghi della socialità, del cibo, della musica e dello sport. E’ questo che fa male ai terroristi, non avere la stessa libertà mentale, la stessa sicurezza che gli uomini e le donne europee hanno acquisito prima di tanti altri. Probabilmente i terroristi sono più infastiditi dall’integrazione delle etnie nelle splendide città europee che dai missili lanciati nel deserto sugli avamposti delle vie carovaniere segnalati da bandiere nere. L’ho sempre detto, vestitevi di nero per eleganza, mai per politica.

Lascerei dormire serenamente Oriana Fallaci e Tiziano Terzani, non erano profeti, analizzavano le cose del mondo liberamente perché il mondo lo hanno vissuto veramente e ognuno, dal mondo, estrapola quello che i suoi passi calpestano. Sono d’accordo con chi non vede uno stato di guerra in tutto ciò, l’Europa non deve essere in guerra con nessuno, la forza dell’Europa sono la sua gente e le sue regole. Quando acciufferemo i responsabili non taglieremo le loro teste per farne dei video da far girare sugli smartphone di figli ignoranti alla ricreazione, attratti dagli sbuffi di sangue alla Tarantino e non disgustati dalla violenza di quattro esaltati. Quando li acciufferemo, dimostreremo loro cosa significa essere umani, restare umani, il rispetto della vita è il nostro marchio di fabbrica, per quanto anche noi continuiamo a macchiarci di omicidi generati da bombe inutili.

Le bombe, appunto. Non condivido gli attacchi militari umorali. Sapevo che i francesi sarebbero partiti in quarta e avrebbero chiesto supporto ad un gruppo di alleati. Stiamo perdendo tempo e tanto denaro da destinare diversamente. Si stimano 80-100 mila “cittadini” dell’ISIS e affiliati (su 1,9 miliardi di musulmani). Pensiamo di ucciderli tutti? Pensiamo di ripulire la zona visto che abbiamo i mezzi per farlo? E quando saranno stremati, cosa ci aspettiamo? Che uno Stato che non esiste si arrenda? Che si convertano alla croce? Che svendano le tute arancioni al primo mercatino del mondo in qualche fiera di provincia europea? Ma soprattutto, che senso ha restituire i confini di partenza a Siria e Iraq, se poi sciiti e sunniti custodiscono e alimentano idee completamente diverse di come spartirseli? Per quanto anacronistica, perché non partiamo da quella formula un tempo denominata accordo di pace? I tagliatori di gole, i violenti, i nemici di Palmira, gli stupratori, saranno giustiziati secondo l’unica legge che tutti conosciamo, quella che non ammette la diffusione della cultura della morte e dell’odio tra le genti.

Questo non è il momento della divisione. Sara e Selma, le mie amiche musulmane di Casablanca e di Ankara, mi hanno scritto dei brevi messaggi di scuse, hanno pubblicato post in francese ed inglese sulle loro bacheche affinché gli occidentali sappiano che l’Islam non era nei loro corpi in quella notte. C’erano il denaro, il burattinaio, le droghe, il martirio e l’affannosa ricerca della gloria.

Un ultimo pensiero è per Valeria Solesin. Io amo le donne europee, lei è il simbolo di un’Europa che è splendida perché si contamina di anime e di idee, di sogni che si coronano tra Venezia e Parigi, in un atto unico di bellezza e cultura che abbiamo saputo costruire con tanta fatica e con tante visioni. Hanno detto di lei: “nata a Venezia, cresciuta in Europa”. La frase più bella letta e ascoltata in questi giorni di terrore. E un pensiero anche a Giancarlo Lo Porto, del quale so poco quanto niente, ma che stimo per il semplice fatto di essere nato a Palermo e cresciuto di sua spontanea volontà nei luoghi disagiati del pianeta. Per me i morti hanno lo stesso valore, non c’è bisogno di fare sempre confronti per ritagliarsi spazi di visibilità.

Per stare al mondo bisogna essere fluidi, l’Europa dovrà continuare a essere miracolosamente libera e fluida. Il Medio Oriente troverà la sua strada, prima o poi lo farà, è un suo obbiettivo. Non mi piace scrivere la parola obiettivo con due “b”, per quanto sia comunque corretto farlo. Le doppie appesantiscono, non hanno stile. Riposino in pace, tutti, niente allarmi e nessuna sorpresa. Io amo l’Europa, marchons, marchons…

"This is my final fit, my final bellyache with no alarms and no surprises" (da "No Surprises", Radiohead).

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giovedì 13 agosto 2015

Sarà come sarà, se sarà vero...


Musica consigliata: Ti leggo nel pensiero, Francesco De Gregori

Ettore e Ilaria sono accomunati da una generale propensione all'interpretazione. Interpretare una lingua, interpretare un emocromo. Se non hai cultura e propensione, le lingue e le analisi del sangue sono solo parole, codici, acronimi indecifrabili. Questo mi fa pensare che la loro unione sia inevitabile, giusta, necessaria e per certi versi quasi benedetta, dall'alto e dal basso. Perché per vivere insieme una vita intera bisogna essere bravi a interpretare, ogni giorno, ogni piccolo segnale, ogni piccola crepa, ogni piccolo spiraglio. La vita è tutta una questione di interpretazione, per districarsi bisogna cogliere e riportare una versione dei fatti quanto più vicina alle verità che ognuno di noi cerca nel suo tempo. Così Ettore, un giorno, ha interpretato il sorriso di Ilaria come il più bello che potesse appartenere a una donna, un sorriso tondo, aperto, amabile. Così Ilaria, un giorno, ha interpretato il mix vulcanico di chimica, biologia, metal, calcio, Milan, capelli e presenza fisica e immateriale di un uomo come Ettore come la più ricca mai appartenuta agli uomini da lei incontrati. Ettore e Ilaria appartengono a quel genere di coppie che nascono senza troppi perché, senza studiarsi molto a distanza, dove la prossimità, la pelle e i profumi veicolano veramente l'unione. Isocrate scrisse che i più grandi doni di Demetra all'umanità furono i cereali, che hanno reso l'uomo diverso dagli animali selvatici. Ettore e Ilaria sono una coppia fibrosa, che conoscerà il valore delle stagioni e l'importanza dei raccolti da sudare e da celebrare. Il primo dei quali è qui che sorride felice in una calda sera d'agosto, mentre nonno Cesare non può far altro che aprire una splendido cielo d'estate sui propri figli.

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sabato 8 agosto 2015

Trentasei



Musica consigliata: "Please, Please, Please, Let me get what I want", The Smiths

"Agisci se hai in mente una grande causa, condivisa da altri e ritenuta tale dalla gente, non serve l'art pour l'art. Agire localmente, pensando globalmente: localmente in modo molto concreto. Non puntare all'1%, allora è meglio lasciar perdere. Guardati dalla paura di dover competere...Anzi guarda e passa. Lascia che i morti seppelliscano i loro morti. Non infognarti nella concorrenza...Mettiti d'accordo con i tuoi compagni di cordata su un programma chiaro, parziale e modesto. Non promettere niente. Cedi il passo alle donne. Cerca gente nuova, senza temere la loro ingenuità. Tieni presente che tra le persone nuove ci possono essere spesso dei vecchi, delle vecchie. Il vostro messaggio dovrà arrivare a tanta gente: si fa intendere meglio con azioni...che con parole stampate. Occorre il candore delle colombe, ma la furbizia dei serpenti...bisogna sì muoversi nel mondo, ma senza essere del mondo. Un buon gruppo promotore, affiatato anche da amicizia, può fare molto. Nuoce invece quando agli altri si presenti come gruppo chiuso e troppo omogeneo. Qualche vecchia volpe può dare buoni consigli, ma non molto di più: non lasciare che si travesta da orsetto panda. Un'immagine nuova non può essere la sommatoria di immagini vecchie, né appaltata ad alcuno. L'obiettivo, nel lungo periodo, è costruire un ponte verso un'altra sponda. Non farti ossessionare. Buon lavoro".

di Alexander Langer, tratto da "La Nuova Ecologia", Ottobre 1984.

© RIPRODUZIONE RISERVATA - Foto: Acquerello originale dell'artista Beraldo, recuperato in una discarica abusiva della Città di Oria.

lunedì 8 giugno 2015

Voglio un sindaco Madre

 
Musica consigliata: Talking about revolution, Tracy Chapman

Voglio un sindaco che abbia idee. Voglio un sindaco europeo, che istituisca e animi l'Ufficio Europa. Che conosca le regole e gli strumenti della programmazione comunitaria, che si sappia muovere nell'oceano dei finanziamenti a dodici stelle, che sappia divulgare le infinite opportunità di scambio per far studiare e lavorare i nostri ragazzi all'estero prima del loro giusto ritorno. Voglio un sindaco che spedisca i suoi giovani a formarsi altrove, ad apprendere lingue e buone pratiche, che prelevi il loro campanilismo e inietti sane dosi di apertura. Voglio un sindaco mediteranneo. Voglio un sindaco cresciuto ad immersioni di calce, che proibisca la tinteggiatura delle case di viola, di fucsia o di arancione. Voglio un sindaco che riduca le dimensioni dei manifesti funebri ad un semplice A4. Voglio un sindaco che ricopra i cimiteri di pannelli solari e restituisca almeno utilità alle colate di cemento per i morti. Voglio un sindaco che canticchi mentre innaffia i gerani sul balcone. Voglio un sindaco che riprenda gli uomini del corpo forestale che sporcano con gli stivali gli intonaci del palazzo di città, mentre fumano una sigaretta in attesa di segare senza un perchè. Voglio un sindaco che rispedisca a casa la xylella e i suoi falsi untori. Voglio un sindaco che abbatta gli archi di trionfo nelle campagne e obblighi i megalomani a dieci giorni di Summer School in Valle d'Itria. Voglio un sindaco che conosca le isole di calore urbano e quanto un viale alberato possa ridurre la temperatura estiva percepita in un paese al 40° parallelo, molto più di batterie di condizionatori installati anarchicamente. Voglio un sindaco che metta la freccia, in tutti i sensi, che indossi il casco e le cinture. Voglio un sindaco senza rimpasti, senza indecisioni, senza condizionamenti. Voglio un sindaco che torni a piantare i tigli in viale Grande Europa e i platani mancanti in viale Regina Margherita. E che restituisca luce e pulizia alle sorgenti che correvano verso le lame. Voglio un sindaco esperto in olio e in vino, abile nel creare le condizioni favorevoli per tornare ad esportare vagonate di fichi neri, secchi e non. Voglio un sindaco che proibisca la distribuzione delle acque minerali in bottiglia e che elimini i rifiuti a monte e non solo a valle. Voglio un sindaco che raccolga acqua quando piove. Voglio un sindaco che abbatta le pensiline in plastica e in legno dal centro storico, perchè siamo a Oria e non a Bolzano. Voglio un sindaco che vada a piedi o in bicicletta. Voglio un sindaco che demolisca con violenza la pavimentazione della piazza d'armi del castello e torni a spargere liberamente un romantico ghiaietto. Voglio un sindaco bravo a recuperare e non a costruire. Voglio un sindaco che abbia il sorriso triste di Troisi e che non appenda bandiere di solidarietà solo per i fucilieri di marina, ma anche per Aung San Suu Kyi. Voglio un sindaco che monitori le polveri sottili in via Mario Pagano al sabato pomeriggio, che sappia intercettare le emergenze sanitarie e combattere preventivamente i mali del nostro tempo, anche a fronte di scelte impopolari. Un sindaco che conosca i venti dominanti del territorio e aiuti i suoi cittadini a conoscere la provenienza e le fonti di tutto ciò che di contaminato mangiamo ed inaliamo. Un sindaco capace di favorire il ritorno dei tavolini per le strade, le buste di juta e biopolimeri per i negozi consorziati e il passeggio per alimentare socialità e commercio. Voglio un sindaco esperto in toponomastica, che corregga Filippo in Filippa di Cosenza. Voglio un sindaco che la smetta di parlare di turismo, ma di qualità della vita, perchè non ci sarà mai turismo se continueremo ad avere una qualità della vita mediocre. Voglio un sindaco che consegni ai giovani sposi bottiglie di alcool etilico per ripulire la segnaletica stradale dai loro minimanifesti abusivi. Voglio un sindaco che si vergogni quando vedrà il cancello degli uffici sanitari, arrugginito e dondolante da sempre. O che inorridisca al pensiero che da anni accogliamo il visitatore proveniente da via Latiano con una stazione di servizio abbandonata degna della Beirut degli anni ottanta. Voglio un sindaco che sappia chiedere scusa e dire “Ho sbagliato, sarò più attenta”. Voglio un sindaco che ricordi l'esistenza di Lorch e che non cerchi gemellaggi qua e là solo per spesare qualche gita fuoriporta al consigliere delegato di turno. Voglio un sindaco che sappia commuoversi e ballare, anche goffamente. Voglio un sindaco a LED, che prenda i lampioni di Piazza Cattedrale e li restituisca al mittente, decretando la fine di operazioni di vendita di prodotti obsolescenti a paesi considerati del terzo mondo. Voglio un sindaco che abbatta le gabbie dei polli degli scavi archeologici. Voglio un sindaco che proibisca l'uso di diserbanti sul bordo delle strade e che denunci chi inquina ancora le falde acquifere o trivella il territorio abusivamente. Voglio un sindaco che temporizzi l'illuminazione notturna della villa comunale. Voglio un sindaco che non vada dietro al santo, ma alla fine della processione. Voglio un sindaco che ceda la sua fascia ai giovani assessori e li istruisca all’arte oratoria, al ben vestire, al come rappresentare al massimo questo paese in ogni sede. Voglio un sindaco pellegrino, che colleghi Oria al santuario con la migliore prospettiva di sempre, pullulante di devoti, atleti, ciclisti e autovelox festanti su piste realizzate con scarti di pneumatici all'ombra di rigeneranti chiome di alberi ad alto fusto. Voglio un sindaco che rimuova le colate di asfalto che bruciano le estati degli sportivi attorno a quello che fu lo Stadio Comunale. Voglio un sindaco che crei zone cuscinetto intorno alle scuole, 200 metri dove non possono transitare le auto di genitori morsi dalla fobia di aggressioni, stupri e sequestri dei loro figli. Che riduca lo smog in prossimità degli edifici scolastici e favorisca le corse liberatorie al termine di una faticosa giornata di scuola, i primi bacetti e lo scambio delle figurine. Non lo dico io, ma fior di progetti europei come "Getting children out of their parent's car". Voglio un sindaco che sappia interpretare le logiche del "Paseo" spagnolo, che capisca che le strade non sono corsie per automobili, ma arterie vitali per uomini, animali, ciclisti e alberi. Voglio un sindaco in silenzio quando camminerà di notte per visitare i "sepolcri". Voglio un sindaco che conosca la differenza tra un leccio e una roverella. Che vieti ogni impianto di Cocus Plumosus e torni a riforestare il paese e i suoi dintorni con ettari di vegetazione funzionali alla purificazione dell'aria e alla produzione di biomasse. Voglio un sindaco meteodipendente, che dirami allerte notturne via fb ai suoi cittadini, invitandoli a non correre lungo le strade con canali a rischio esondazione, che salvi le vite con semplici consigli sull'aquaplaning o rilevazioni tempestive nei sottopassaggi. Voglio un sindaco cattolico, ma anche ateo, che apra moschee e sinagoghe, che torni a rendere questo paese attrattivo verso ogni fede e cultura e che non faccia radicare i fanatismi, perché ha insegnato prima degli altri i valori della tolleranza e della convivenza. Voglio un sindaco che celebri matrimoni etero e omosessuali, senza sorrisetti ironici verso l'amichetto di partito alla propria destra. Voglio un sindaco che dipinga i volumi della Camillo Monaco con i colori di Rietveld. Voglio un sindaco accappatoio, morbido e pulito, che assorba l'umidità in eccesso e ricopra fino a quando sarà necessario le nostre peggiori nudità. Voglio un sindaco che ami i temporali e la lettura negli afosi pomeriggi d'estate. Voglio un sindaco che profumi di legalità e di innovazione. Voglio un sindaco che sappia soffrire dentro, come tutte le persone buone. Voglio un sindaco sorridente, profondamente auto-ironico. Voglio un sindaco che restituisca classe, eleganza e stile a questo paese. Per questa ragione auguro a Cosimo Ferretti e ai suoi sostenitori la migliore campagna elettorale possibile, ma voto Maria Lucia Carone. Voglio un sindaco Madre.

"Pierini salì sul motorino, girò l'acceleratore a manetta e ripartì a testa bassa urlando: Aspettami qua. Lo stronco e torno". (da "Ti prendo e ti porto via" di N.Ammaniti)


© RIPRODUZIONE RISERVATA - Foto: "Ballottaggio" - Ubaldo Spina 2015

mercoledì 20 maggio 2015

Ci vuole tanto troppo coraggio...

 
Musica consigliata: "Era de Maggio, Roberto Murolo"


Non ricordo il giorno esatto in cui ho conosciuto Alessandro. Abitare in un piccolo paese spesso comporta l'inizio di nuove amicizie per il semplice fatto di incontrarsi ripetutamente, di frequentare gli stessi campetti, le stesse parrocchie, gli stessi lampioni. Significa condividere il tragitto verso la scuola senza mai essersi presentati, dividersi prima del suono della campanella e rimanere amici per sempre. Il primo "ciao" con Alessandro si sarà concretizzato in una di queste occasioni, fino a quando, in un giorno di fine luglio sancimmo l'inizio della nostra amicizia in riva al mare. In quella stagione nacque per lui una storia con una ragazza di Manduria, una storia probabilmente scatenata da uno scontro frontale in un campo di beach volley, dove entrambi si contesero un baker disperato senza che nessuno dei due riuscisse a rispedire la palla oltre la rete. L'imbarazzo sfociò in una grassa risata e nei primi baci a match terminato, consumati in quel grigio svaporare della calura estiva sul mare piatto di tramontana nella sera di Campomarino. Pochi giorni dopo, la ragazza fu invitata ad una festa, dove ci sarei andato anche io. Alessandro non era ancora munito di patente e cercava con garbo un passaggio fidato per raggiungerla e infilarsi nel convivio. Si presentò con educazione, l'approccio più bello ed intelligente che possa avere una persona quando è nel bisogno. Quella sera salì nella mia auto e lo riaccompagnai in piena notte sulla soglia di casa. I discorsi che animarono la traversata notturna appartengono ora agli spiriti della litoranea, ma ricordo si trattò di una piacevole compagnia e di flussi di parole piuttosto impegnati nonostante la ridotta lucidità di entrambi. Negli anni successivi, per obblighi universitari e vite che giustamente si disperdevano verso obiettivi differenti, la nostra amicizia restò salda nell'assenza e, almeno per quanto mi riguarda, così la reputo ancora.

Ho seguito a distanza i suoi anni migliori. E' stata una persona che non ha rinunciato ad un solo attimo della sua esistenza. Ha amato le donne e le donne lo hanno amato, da vero latin lover non ha mai sbandierato al popolo l'esatto bottino delle sue battute di caccia, fu sempre corteggiato e profondamente desiderato. Alessandro lo ricordo così, cestista e sbandieratore, studente e barman, notte e giorno avevano per lui un profondo significato e, per quanto anche le più grandi energie della gioventù siano destinate ad andare in riserva, difficilmente ha ceduto alle sue passioni. Mi piace pensarlo ancora alle prese con cocktail acrobatici o vestito con canovaccio distinto nel cuore di una norcineria scavata nel carparo locale. Mi piace pensarlo assorto nei suoi pensieri o impegnato in quella che sarebbe stata la sua futura professione.

Ecco, sarò controcorrente, ma credo che la vita, nella sua limitatezza, non vada calcolata in anni accumulati all'anagrafe, ma in sensazioni, in ritmo, in impronte, e per quanto sia nostro dovere cercare di strappare anche un solo minuto in più alla morte, nessuno potrà mai dire se sia stato meglio morire rantolando a 90 anni in un letto di ospedale o cantando a 30 in una strada che corre verso l'estate salentina. Con una vita davanti, un amore atteso tra le lenzuola e il vento in faccia di un maggio di grandi speranze.
Non so, forse l'enigma più grande da risolvere resta proprio questo: avremo sempre acqua corrente per lavarci i denti? Nei giorni di Galizia ho capito quanto fosse importante centellinare quelle gocce preziose raccolte in una bottiglia da 0,5 litri per pulire, sciacquare e togliere ogni residuo di cibo e di schiuma dalle setole. Così è la vita, la puoi immaginare che scorre perpetua da un rubinetto cosmico gigante, regalo infinito senza data di scadenza, da consumarsi preferibilmente, ma anche oltre. Oppure puoi fermarti a guardarla confinata nelle pareti di una bottiglia, mentre giorno dopo giorno ne hai sempre meno e consumarla diviene quasi un affronto sacrilego al Creatore. E' un esercizio difficile, ma aiuta a capire molte cose su quanto prezioso sia questo battito concessoci in questa frazione di eternità.

De Andrè ha ragione, ha sempre ragione. «Ninetta mia, crepare di maggio, ci vuole tanto troppo coraggio». Lo sanno soprattutto le persone che hanno improvvisamente dovuto accettare la tua partenza e che vivono ogni giorno con la speranza di incrociarti ad un angolo di una qualsiasi strada. Io, quel giorno, ero in viaggio verso Montecatini Terme. E ho atteso tre anni per scriverti questo piccolo omaggio. Ciao Ale, salutaci l'universo.

"Core, core!
core mio, luntano vaje,
tu mme lasse e io conto ll'ore...
chisà quanno turnarraje?"
Rispunnev'io: "Turnarraggio
quanno tornano li rrose.
Si stu sciore torna a maggio,
pure a maggio io stóngo ccá".


(da "Era de Maggio" di S. Di Giacomo)


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venerdì 20 febbraio 2015

Crocefisso Salvatore Perrino era uno stilista


Musica consigliata: "Gaza, Radiodervish"

Il panificio San Barsanofio ha chiuso i battenti da un pezzo. Nell'ultimo periodo è stato un panificio notte e giorno, accaventiquattro, evoluzione metropolitana discutibile, ma pur sempre lievitata nella devozione. Poi si è arreso e ha lasciato la sua enorme eredità onomastica al famigerato Panificio "Gli Imperiali". Con tutto il rispetto per il mondo conosciuto, oltre all'onta riservata al caro esicasta, è stata un'operazione dal sapore della sfida, sulla quale il nostro abate ha sicuramente posato volontariamente il suo mantello, un po' come si fa con i cadaveri per strada. E' come se io aprissi un "Bar Rione Lama" in via Giuseppe Di Vagno...
Questa introduzione mi aiuta a dispensare un po' di riflessioni sull'attaccamento degli oritani al proprio patrono. Non ci sono molte tracce del suo nome nelle attività associative e commerciali (l'ultima, gloria e pace all'anima sua, è stata da poco descritta...e poi ci lamentiamo dello smarrimento delle radici cristiane, ma questo fa parte della confusione totale dell'italiano medio), i neo-genitori provano quasi vergogna ad assegnare un nome così lungo e strano ai propri figli (eppure le prime cinque lettere ricordano il football club per eccellenza), via San Barsanofio Abate è solo un sentiero (e qui è d'obbligo citare papà): "Solo nel 1981 gli amministratori si accorsero che al grande anacoreta palestinese, protettore della Diocesi e della Città, nessuno aveva mai pensato di dedicare una strada. Ma, forse, San Barsanofio avrebbe volentieri aspettato qualche altro anno! Non so quanti conoscano via San Barsanofio e questo non mi meraviglia perchè, in realtà, questa strada forse non merita neanche di chiamarsi tale". In diocesi si ignora perfino l'esistenza, al punto tale che una professoressa di inglese ebbe il coraggio di fare l'appello chiamando "Barsafoglio Cognome" un mio compagno di classe.
E da qui traggo il seguito delle mie considerazioni mattutine. Un nome come Barsanofio lo ricordi per sempre e per sempre lo assocerai al paese dove ti è stato nominato per la prima volta. Barsanofio è così originale che meriterebbe fior di richieste in un paese a reale vocazione turistica. 
Potremmo chiamare "Il Barsafoglio" un giornale locale, potremmo fare dolci a forma di mantello che proteggono cicloni di crema pasticciera (in barba alle inflazionatissime code di aragosta), potremmo creare una bacheca contenente oltre 800 lettere, potremmo regalare agli Oritani nel Mondo più meritevoli un premio come il "Nofiuccio d'oro", potremmo fregiarci, insomma, di avere un patrono proveniente dalla striscia più famosa dell'universo politico e religioso. Potremmo chiedere la sua protezione dappertutto e fare veramente di questo paese la città del Santo, il Santo Barsanofio. Ma l'oritano soffre recentemente di disturbi di cecità, basta vedere cosa rappresenta sulle bandiere natalizie. Invece di imprimere la poesia del presepe di Gallana o di immortalare mani di donna alle prese con impasto di "cartiddati", il nostro vero Natale, piazza su sfondo rosso Coca Cola dei finti alberi svedesi costruiti da cinesi e venduti in ipermercati francesi. Praticamente il trionfo del Natale commerciale ormai in declino e la morte del marketing territoriale...Non aggiungo altro, c'è poco da aggiungere.
Un ultimo omaggio voglio farlo alla statua del Santo. Mi ha sempre affascinato, fin da bambino. San Barsanofio è massiccio, potente, imponente, bello. Un vero patrono. Chi ne ha evoluto la stazza dai primi esemplari smilzi con zuccotto alla statua di pero selvatico oggi portata in processione, aveva capito benissimo l'importanza dell'overscale e dei simboli per fare di questo santo un riconosciuto padre protettore che tutto abbraccia e governa nella fede.
San Barsanofio è anziano, scarno, quasi esangue, ma allo stesso tempo in splendida forma. E poi, che meraviglia quel passaggio di colori dal bianco sporco, all'azzurro fino al nero! Crocefisso Salvatore Perrino la sapeva lunga, era uno stilista senza ombra di dubbio, esiste una contaminazione perfetta tra i tre colori freddi dominanti, il suo abito è di una eleganza straordinaria, a tal punto che su colourslovers.com trovi palette con gli stessi accostamenti. Tom Ford, al tempo direttore creativo di Gucci, scrisse che Amid Karzai, ex presidente dell'Afghanistan, era l'uomo più chic del mondo. Come dargli torto, ma se avesse visitato Oria a fine Agosto si sarebbe pronunciato probabilmente allo stesso modo per lo stile del nostro anacoreta.

Con quale buon proposito lasciarci? Mi offro per la progettazione del "Nuovo Panificio San Barsanofio", in un'operazione in stile Tornatore, fatto di lavagne nere, cestini su mensole azzurre, pavimenti e pareti color crema in un trionfo di vassoi argentati. Il mio compenso verrà devoluto per l'organizzazione di uno scambio interculturale per due bambini oritani desiderosi di giocare per le strade di Gaza con i loro coetanei palestinesi. 
Il 20 Febbraio 2015, nelle città di Parma, Verona e Palermo, si sforna nei panifici Sant'Ilario, San Zeno e Santa Rosalia. Oggi è San Barsanofio. Del suo nome sul calendario e di un presente migliore continuano a non esserci tracce.



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martedì 27 gennaio 2015

Nell'ora di educazione fisica mangiavo i cracker


Musica consigliata: The Crossing, Yann Tiersen

Io non so scrivere. Ma per te ci proverò.
Esistono ancora paesi la cui vita scorre e si completa sul bordo di una strada principale. Non una strada qualsiasi, ma una delle strade più belle di Puglia, la Strada Statale 16, una dolce ferita di asfalto protetta da cipressi, miracolosamente dritta tra ulivi secolari, carrubi e varchi di calce bianca senza cancelli che aprono percorsi sterrati verso masserie isolate. Una strada che attraversa più frazioni, regalando al passante i gioielli di Puglia, il mare alla sua destra, le colline alla sua sinistra, le piane nel suo centro (partendo da Sud, naturalmente...).
Speziale. Un nome che sa di pulizia, di aromi, di Oriente, di cucina, di vegetazione, di Marco Polo. Un nome profumato e prezioso. Nella vita ti puoi invaghire di una donna, ma anche i luoghi che l'hanno vista crescere hanno la loro importanza nel processo di avvicinamento. Si ricorda più facilmente un viso nel tramonto di masseria o nella nebbia di una periferia metropolitana? Per quanto l'amore non guardi spesso in faccia il contorno delle cose, la proiezione del contesto sul viso della propria amata moltiplica il desiderio e la sensazione di bellezza.
Le frazioni, a dispetto del loro nome, sono luoghi dove ogni cosa è unica e indivisa. La chiesa, il tabacchino, il bar, la trattoria, la fontana. Tutto preceduto da articolo determinativo singolare, quello che gli inglesi usano per le persone o per gli oggetti caratterizzati da una particolare unicità, The Sun, The Moon, The Voice, The (..). Le frazioni sono luoghi dove puoi spiare tutto, come se tutto fosse di carta, le voci non hanno barriere e le famiglie sono allargate al punto tale che tutto il borgo è famiglia. Le frazioni sono pettegole, indiscrete, chiacchierone, direte...ma sono anche esempi perfetti di vita comunitaria, di scambio di beni, di supporto reciproco. Chi vive in una frazione non dovrebbe soffrire di solitudine, qualcuno busserà sempre alla tua porta, magari a mezzogiorno con un piatto fumante confezionato in strati di carta stagnola, forse avanzato, forse preparato appositamente o forse, semplicemente, donato al vicino come gesto comandato dalle buone regole della prossimità. Speziale sembra non avere nulla, ma ogni volta che attraverso questo luogo nulla sembra mancare per lo scorrere regolare di una esistenza felice, positiva e dignitosa. Ha i suoi punti di riferimento così definiti che un paese di medie dimensioni potrebbe sembrare quasi una giungla. Speziale ha tre strade e tante prospettive. Speziale è casa mia, è casa di tutti.
Ho molte cose da dirti in questo giorno. Sento ancora dentro di me quel battito pulsare al varco delle tue colonne, nel tramonto di Agosto, accolto da un concerto di cani in festa e da uomini anziani seduti silenziosamente nell'attesa della sera. Anziani di antica cortesia, quella che come direbbe Guccini ti un piacere assurdo, che si alzano stancamente dalle sedie per venirti incontro a passo lento e stringerti la mano. Ed è in questi gesti che tutto ha avuto inizio, e mentre guardavo gli angoli di passato impolverati nella storia di Zacchieri, vedevo muoversi la tua splendida giovinezza, con sorrisi a distanza e segnali di fumo, quasi a volermi dire di non dare troppa retta alle generazioni over.
In questi mesi molte cose mi sono entrate sottopelle. I tuoi tre nomi, le tue conversazioni notturne, la tua autorità, le tue pause, le tue rinascite. La tua guida sicura, la tua determinazione, la tua profonda conoscenza di molte vicende umane. Credo di aver svegliato qualcuno dentro di me, da quando ti conosco. E di averlo lavato, centrifugato e steso per bene al sole degli ultimi lembi della provincia di Brindisi.
Perchè mi piacciono le donne come te, concentrati di mistero da scovare in angoli sperduti, siano essi bettole o paradisi terrestri, da rincorrere su scale anguste ricavate in volte a botte cinquecentesche. Mi piacciono le tue distese infinite dove rabbia e dolcezza convivono come se nulla, nella loro atroce differenza, fosse. Mi piace come chiudi le tue giornate, affilando le lame estratte durante il giorno e accompagnando al riposo uno spirito mai domo. Mi piace la tua pace, infine, e il tuo lungo sognare.
Oggi è il tuo compleanno. Il nostro primo compleanno. Dicono che un regalo di compleanno possa essere fatto di gemme e gioielli preziosi, ma è troppo semplice comprare qualcosa scolpita da altri. Volevo modellare per te la pasta del mio meglio. Io non so scrivere, lo so, ma per te ci ho provato. Abbi cura dei tuoi sogni e della tua bellezza. Auguri, bacio bacio...

Dedicato a Giovanna Rubino Amati, donna di Speziale.

"Quando l'amore vi chiama, seguitelo, anche se ha le vie ripide e dure...L'uomo muta nelle esigenze, ma non nell'amore" (da "Il Profeta" di K.Gibran)

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