Tempo fa, in un’intervista, Francesco
Guccini rimpiangeva il fatto di non aver scritto la canzone “Luci a San Siro”,
scritta e musicata come noto da Roberto Vecchioni. Il suo tono ironico era
quello del “…m’ha fregato, avrei dovuto scriverla io”. Anche io riempio
spesso la testa di questi pensieri che, per quanto inutili, lasciano amare o
belle verità, dipende dai punti di vista. Io, nella mia vita, avrei voluto
scrivere solo una canzone, quella. Una canzone sfornata nel 1997 dopo una lunga
lievitazione, l’anno in cui la mia vita cambiava drasticamente e mi proiettava
in quella zona anagrafica caratterizzata da una presunta maturità ad oltranza.
La canzone si intitola “No surprises” dei Radiohead. Inutile presentarla al mondo o commentarla, si sa già tutto di lei. Una cantilena fuori di testa, una musicalità dolce e perfettamente equilibrata. Nei
periodi particolari della mia esistenza, ascolto “No surprises” come sedativo,
recupero fiducia e dichiaro pubblicamente niente allarmi e nessuna sorpresa.
Quindici giorni sono trascorsi
dalle stragi di Parigi. Quindici giorni sono un tempo sufficientemente utile
per ribaltare una sconfitta maturata all’andata, per scoprire di essere
incinta, per far seccare un albero fingendo un attacco batterico o fungino, per vincere un
ballottaggio e tornare a vestire indegnamente una fascia tricolore. Quindici
giorni sono un tempo sufficientemente utile per dire, chiaramente, di non aver
capito nulla delle stragi di Parigi. Per mia natura non commento a
caldo. Di solito non commento a caldo. Non l’ho fatto nei giorni di Charlie,
non l’ho fatto il 13 novembre. Mi piace riflettere in silenzio e, se mi riesce,
pregare. Mi piace parlarne con gli amici, per sentirci parte di un dibattito
internazionale nel quale la voce delle periferie del continente sembra non
avere spazi. Questa sera, però, alla chiusura del saluto di Parigi, sento che
il mio blog, se davvero desidera parlare d’Europa, deve esprimersi in qualche
modo e tracciare almeno il ricordo del mio pensiero sui fatti.
Partiamo dalle soluzioni, non
dalle cause. Sarei molto presuntuoso se fornissi la mia versione delle
motivazioni che hanno portato agli attentati di Parigi. Esistono cose molto più
grandi di noi e delle nostre menti, ci sono fior di persone, studenti, politici
e diplomatici che possono e devono dire la loro. E’ giusto riconoscere i propri
limiti. Il popolo dei social è vittima dell’opinionismo take-away, si rimbalzano
migliaia di post frutto dell’ignoranza e dello sconcerto, non della ragione. E
questo è un secondo attacco al Paese che ha dato i natali all’Illuminismo.
La mia prima soluzione, e forse
unica, è molto semplice. C’è bisogno d’Europa. Non è la sola Francia, è
l’intera Europa ad essere stata offesa. Se siamo tutti con la testa ai fiori e
alle candele che lentamente si spengono nei luoghi del sangue è perché,
inconsapevolmente, siamo tutti europei, condividiamo il lutto di un altro stato
come se fosse il nostro, partecipiamo al suo dolore perché avrebbe colpito noi
tutti allo stesso modo. Il primo monito è quindi questo. Quando parlerete male
del nazionalismo francese, dell’ozio greco, dell’imperialismo economico della
Merkel, della xenofobia ungherese, ricordate che esistono mali peggiori e che
l’Europa è un contenitore di pace e di crescita che andrebbe difeso sempre,
senza se e senza ma. Alcune forze politiche settentrionali, nominarle mi
provoca spesso il mal di pancia, ora sono tutte filofrancesi quando fino a ieri
guerreggiavano per questioni di quote latte e formaggerie varie. In questi
giorni i francesi che attaccano i “musulmani” in Medio Oriente sono bravi, un
esempio per noi italiani, bisogna estinguere ogni minaccia proveniente da un Islam la cui
moderazione non è stata mai provata. Fino a ieri la Francia rappresentava le
logiche malate dell’Europa sul campo, oggi è una eroina coraggiosa che sposa la
causa leghista (ecco, lo sapevo, iniziano i dolorini…) contro il male comune.
Molti hanno scritto che le stragi
del fanatismo islamico in Nigeria, Kenya, Libano, etc. non interessano, non
fanno notizia e si ergono a difensori di Paesi che soffrono gli stessi attacchi
terroristici, senza avere la giusta solidarietà e supporto degli occidentali.
Non sono d’accordo, condividiamo le stesse paure e preghiamo gli stessi morti,
ma il mondo è ancora piccolo e le regole della prossimità che si costruiscono
nei secoli ci fanno sentire più vicini agli amici d’Oltralpe che non alle madri
degli studenti di Nairobi. Ma non per questo sono, siamo meno devastati.
Saremmo degli uomini senza dignità umana se classificassimo l’importanza delle stragi sulla
base dei contesti geografici in cui si verificano.
Il modello Europeo. Altro spunto.
Lavorare, uscire nel fine settimana, sentire il profumo della libertà, amare la
vita. E’ questo il modello che è stato attaccato, sono stati presi di mira i
luoghi dello svago e dell’intrattenimento, i luoghi della socialità, del cibo, della musica e dello sport. E’ questo che fa male ai terroristi, non avere la stessa
libertà mentale, la stessa sicurezza che gli uomini e le donne europee hanno
acquisito prima di tanti altri. Probabilmente i terroristi sono più infastiditi
dall’integrazione delle etnie nelle splendide città europee che dai missili
lanciati nel deserto sugli avamposti delle vie carovaniere segnalati da
bandiere nere. L’ho sempre detto, vestitevi di nero per eleganza, mai per
politica.
Lascerei dormire serenamente
Oriana Fallaci e Tiziano Terzani, non erano profeti, analizzavano le cose del
mondo liberamente perché il mondo lo hanno vissuto veramente e ognuno, dal
mondo, estrapola quello che i suoi passi calpestano. Sono d’accordo con chi
non vede uno stato di guerra in tutto ciò, l’Europa non deve essere in guerra
con nessuno, la forza dell’Europa sono la sua gente e le sue regole. Quando acciufferemo
i responsabili non taglieremo le loro teste per farne dei video da far girare
sugli smartphone di figli ignoranti alla ricreazione, attratti dagli sbuffi di
sangue alla Tarantino e non disgustati dalla violenza di quattro esaltati.
Quando li acciufferemo, dimostreremo loro cosa significa essere umani, restare
umani, il rispetto della vita è il nostro marchio di fabbrica, per quanto anche
noi continuiamo a macchiarci di omicidi generati da bombe inutili.
Le bombe, appunto. Non condivido
gli attacchi militari umorali. Sapevo che i francesi sarebbero partiti in
quarta e avrebbero chiesto supporto ad un gruppo di alleati. Stiamo perdendo
tempo e tanto denaro da destinare diversamente. Si stimano 80-100 mila “cittadini”
dell’ISIS e affiliati (su 1,9 miliardi di musulmani). Pensiamo di ucciderli tutti? Pensiamo
di ripulire la zona visto che abbiamo i mezzi per farlo? E quando saranno
stremati, cosa ci aspettiamo? Che uno Stato che non esiste si arrenda? Che si convertano alla croce? Che
svendano le tute arancioni al primo mercatino del mondo in qualche fiera di
provincia europea? Ma soprattutto, che senso ha restituire i confini di
partenza a Siria e Iraq, se poi sciiti e sunniti custodiscono e alimentano idee completamente
diverse di come spartirseli? Per quanto anacronistica, perché non partiamo da
quella formula un tempo denominata accordo di pace? I tagliatori di gole,
i violenti, i nemici di Palmira, gli stupratori, saranno giustiziati secondo l’unica
legge che tutti conosciamo, quella che non ammette la diffusione della cultura
della morte e dell’odio tra le genti.
Questo non è il momento della
divisione. Sara e Selma, le mie amiche musulmane di Casablanca e di Ankara, mi hanno
scritto dei brevi messaggi di scuse, hanno pubblicato post in francese ed
inglese sulle loro bacheche affinché gli occidentali sappiano che l’Islam non
era nei loro corpi in quella notte. C’erano il denaro, il burattinaio, le droghe,
il martirio e l’affannosa ricerca della gloria.
Un ultimo pensiero è per Valeria Solesin.
Io amo le donne europee, lei è il simbolo di un’Europa che è splendida perché
si contamina di anime e di idee, di sogni che si coronano tra Venezia e Parigi,
in un atto unico di bellezza e cultura che abbiamo saputo costruire con tanta
fatica e con tante visioni. Hanno detto di lei: “nata a Venezia, cresciuta in
Europa”. La frase più bella letta e ascoltata in questi giorni di terrore. E un
pensiero anche a Giancarlo Lo Porto, del quale so poco quanto niente, ma che
stimo per il semplice fatto di essere nato a Palermo e cresciuto di sua
spontanea volontà nei luoghi disagiati del pianeta. Per me i morti hanno lo
stesso valore, non c’è bisogno di fare sempre confronti per ritagliarsi spazi
di visibilità.
Per stare al mondo bisogna essere
fluidi, l’Europa dovrà continuare a essere miracolosamente libera e fluida. Il
Medio Oriente troverà la sua strada, prima o poi lo farà, è un suo obbiettivo. Non
mi piace scrivere la parola obiettivo con due “b”, per quanto sia comunque corretto farlo. Le doppie appesantiscono, non hanno stile. Riposino in pace, tutti,
niente allarmi e nessuna sorpresa. Io amo l’Europa, marchons, marchons…
"This is my final fit, my final bellyache with no alarms and no surprises" (da "No Surprises", Radiohead).
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