venerdì 27 novembre 2015

No surprises

Tempo fa, in un’intervista, Francesco Guccini rimpiangeva il fatto di non aver scritto la canzone “Luci a San Siro”, scritta e musicata come noto da Roberto Vecchioni. Il suo tono ironico era quello del “…m’ha fregato, avrei dovuto scriverla io”. Anche io riempio spesso la testa di questi pensieri che, per quanto inutili, lasciano amare o belle verità, dipende dai punti di vista. Io, nella mia vita, avrei voluto scrivere solo una canzone, quella. Una canzone sfornata nel 1997 dopo una lunga lievitazione, l’anno in cui la mia vita cambiava drasticamente e mi proiettava in quella zona anagrafica caratterizzata da una presunta maturità ad oltranza. 

La canzone si intitola “No surprises” dei Radiohead. Inutile presentarla al mondo o commentarla, si sa già tutto di lei. Una cantilena fuori di testa, una musicalità dolce e perfettamente equilibrata. Nei periodi particolari della mia esistenza, ascolto “No surprises” come sedativo, recupero fiducia e dichiaro pubblicamente niente allarmi e nessuna sorpresa.

Quindici giorni sono trascorsi dalle stragi di Parigi. Quindici giorni sono un tempo sufficientemente utile per ribaltare una sconfitta maturata all’andata, per scoprire di essere incinta, per far seccare un albero fingendo un attacco batterico o fungino, per vincere un ballottaggio e tornare a vestire indegnamente una fascia tricolore. Quindici giorni sono un tempo sufficientemente utile per dire, chiaramente, di non aver capito nulla delle stragi di Parigi. Per mia natura non commento a caldo. Di solito non commento a caldo. Non l’ho fatto nei giorni di Charlie, non l’ho fatto il 13 novembre. Mi piace riflettere in silenzio e, se mi riesce, pregare. Mi piace parlarne con gli amici, per sentirci parte di un dibattito internazionale nel quale la voce delle periferie del continente sembra non avere spazi. Questa sera, però, alla chiusura del saluto di Parigi, sento che il mio blog, se davvero desidera parlare d’Europa, deve esprimersi in qualche modo e tracciare almeno il ricordo del mio pensiero sui fatti.

Partiamo dalle soluzioni, non dalle cause. Sarei molto presuntuoso se fornissi la mia versione delle motivazioni che hanno portato agli attentati di Parigi. Esistono cose molto più grandi di noi e delle nostre menti, ci sono fior di persone, studenti, politici e diplomatici che possono e devono dire la loro. E’ giusto riconoscere i propri limiti. Il popolo dei social è vittima dell’opinionismo take-away, si rimbalzano migliaia di post frutto dell’ignoranza e dello sconcerto, non della ragione. E questo è un secondo attacco al Paese che ha dato i natali all’Illuminismo.

La mia prima soluzione, e forse unica, è molto semplice. C’è bisogno d’Europa. Non è la sola Francia, è l’intera Europa ad essere stata offesa. Se siamo tutti con la testa ai fiori e alle candele che lentamente si spengono nei luoghi del sangue è perché, inconsapevolmente, siamo tutti europei, condividiamo il lutto di un altro stato come se fosse il nostro, partecipiamo al suo dolore perché avrebbe colpito noi tutti allo stesso modo. Il primo monito è quindi questo. Quando parlerete male del nazionalismo francese, dell’ozio greco, dell’imperialismo economico della Merkel, della xenofobia ungherese, ricordate che esistono mali peggiori e che l’Europa è un contenitore di pace e di crescita che andrebbe difeso sempre, senza se e senza ma. Alcune forze politiche settentrionali, nominarle mi provoca spesso il mal di pancia, ora sono tutte filofrancesi quando fino a ieri guerreggiavano per questioni di quote latte e formaggerie varie. In questi giorni i francesi che attaccano i “musulmani” in Medio Oriente sono bravi, un esempio per noi italiani, bisogna estinguere ogni minaccia proveniente da un Islam la cui moderazione non è stata mai provata. Fino a ieri la Francia rappresentava le logiche malate dell’Europa sul campo, oggi è una eroina coraggiosa che sposa la causa leghista (ecco, lo sapevo, iniziano i dolorini…) contro il male comune.

Molti hanno scritto che le stragi del fanatismo islamico in Nigeria, Kenya, Libano, etc. non interessano, non fanno notizia e si ergono a difensori di Paesi che soffrono gli stessi attacchi terroristici, senza avere la giusta solidarietà e supporto degli occidentali. Non sono d’accordo, condividiamo le stesse paure e preghiamo gli stessi morti, ma il mondo è ancora piccolo e le regole della prossimità che si costruiscono nei secoli ci fanno sentire più vicini agli amici d’Oltralpe che non alle madri degli studenti di Nairobi. Ma non per questo sono, siamo meno devastati. Saremmo degli uomini senza dignità umana se classificassimo l’importanza delle stragi sulla base dei contesti geografici in cui si verificano.

Il modello Europeo. Altro spunto. Lavorare, uscire nel fine settimana, sentire il profumo della libertà, amare la vita. E’ questo il modello che è stato attaccato, sono stati presi di mira i luoghi dello svago e dell’intrattenimento, i luoghi della socialità, del cibo, della musica e dello sport. E’ questo che fa male ai terroristi, non avere la stessa libertà mentale, la stessa sicurezza che gli uomini e le donne europee hanno acquisito prima di tanti altri. Probabilmente i terroristi sono più infastiditi dall’integrazione delle etnie nelle splendide città europee che dai missili lanciati nel deserto sugli avamposti delle vie carovaniere segnalati da bandiere nere. L’ho sempre detto, vestitevi di nero per eleganza, mai per politica.

Lascerei dormire serenamente Oriana Fallaci e Tiziano Terzani, non erano profeti, analizzavano le cose del mondo liberamente perché il mondo lo hanno vissuto veramente e ognuno, dal mondo, estrapola quello che i suoi passi calpestano. Sono d’accordo con chi non vede uno stato di guerra in tutto ciò, l’Europa non deve essere in guerra con nessuno, la forza dell’Europa sono la sua gente e le sue regole. Quando acciufferemo i responsabili non taglieremo le loro teste per farne dei video da far girare sugli smartphone di figli ignoranti alla ricreazione, attratti dagli sbuffi di sangue alla Tarantino e non disgustati dalla violenza di quattro esaltati. Quando li acciufferemo, dimostreremo loro cosa significa essere umani, restare umani, il rispetto della vita è il nostro marchio di fabbrica, per quanto anche noi continuiamo a macchiarci di omicidi generati da bombe inutili.

Le bombe, appunto. Non condivido gli attacchi militari umorali. Sapevo che i francesi sarebbero partiti in quarta e avrebbero chiesto supporto ad un gruppo di alleati. Stiamo perdendo tempo e tanto denaro da destinare diversamente. Si stimano 80-100 mila “cittadini” dell’ISIS e affiliati (su 1,9 miliardi di musulmani). Pensiamo di ucciderli tutti? Pensiamo di ripulire la zona visto che abbiamo i mezzi per farlo? E quando saranno stremati, cosa ci aspettiamo? Che uno Stato che non esiste si arrenda? Che si convertano alla croce? Che svendano le tute arancioni al primo mercatino del mondo in qualche fiera di provincia europea? Ma soprattutto, che senso ha restituire i confini di partenza a Siria e Iraq, se poi sciiti e sunniti custodiscono e alimentano idee completamente diverse di come spartirseli? Per quanto anacronistica, perché non partiamo da quella formula un tempo denominata accordo di pace? I tagliatori di gole, i violenti, i nemici di Palmira, gli stupratori, saranno giustiziati secondo l’unica legge che tutti conosciamo, quella che non ammette la diffusione della cultura della morte e dell’odio tra le genti.

Questo non è il momento della divisione. Sara e Selma, le mie amiche musulmane di Casablanca e di Ankara, mi hanno scritto dei brevi messaggi di scuse, hanno pubblicato post in francese ed inglese sulle loro bacheche affinché gli occidentali sappiano che l’Islam non era nei loro corpi in quella notte. C’erano il denaro, il burattinaio, le droghe, il martirio e l’affannosa ricerca della gloria.

Un ultimo pensiero è per Valeria Solesin. Io amo le donne europee, lei è il simbolo di un’Europa che è splendida perché si contamina di anime e di idee, di sogni che si coronano tra Venezia e Parigi, in un atto unico di bellezza e cultura che abbiamo saputo costruire con tanta fatica e con tante visioni. Hanno detto di lei: “nata a Venezia, cresciuta in Europa”. La frase più bella letta e ascoltata in questi giorni di terrore. E un pensiero anche a Giancarlo Lo Porto, del quale so poco quanto niente, ma che stimo per il semplice fatto di essere nato a Palermo e cresciuto di sua spontanea volontà nei luoghi disagiati del pianeta. Per me i morti hanno lo stesso valore, non c’è bisogno di fare sempre confronti per ritagliarsi spazi di visibilità.

Per stare al mondo bisogna essere fluidi, l’Europa dovrà continuare a essere miracolosamente libera e fluida. Il Medio Oriente troverà la sua strada, prima o poi lo farà, è un suo obbiettivo. Non mi piace scrivere la parola obiettivo con due “b”, per quanto sia comunque corretto farlo. Le doppie appesantiscono, non hanno stile. Riposino in pace, tutti, niente allarmi e nessuna sorpresa. Io amo l’Europa, marchons, marchons…

"This is my final fit, my final bellyache with no alarms and no surprises" (da "No Surprises", Radiohead).

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