Tremo in pieno giugno. Nel
massimo della luce, nel caldo che avanza inesorabile. Tremo per le vibrazioni
di questo calesse che corre verso la contrada della Madonna della Scala. Tremo,
anche se non sono solo. Può un uomo tremare all’idea di incontrare colei che
probabilmente sarà la donna della sua vita? Può una vita di affanni e di
sacrifici non aver ancora insegnato che i timori sono ben altri e che un vero sentimento
non potrà mai essere fonte di paura? Non ho mai tremato nella mia esistenza, neanche durante
le notti trascorse carico di merci nel silenzio della Murgia. Eppure il mio
corpo si muove e non riesco a controllarlo. Tremo all’idea di vederti. Di
conoscerti. Di guardarti al cospetto di tuo padre. Il mio amico, l’uomo della
combinazione di un matrimonio non combinato è al mio fianco. Striglia la bestia
e fischia un motivetto. Ma non parla. Noci alle mie spalle, vado a prelevare il
mio futuro in una grande masseria. Ti ho scelto Elisabetta e vengo a prenderti.
Tu sei benestante. Io sono nel commercio. E il commercio, si sa, viene e va. Tu
sei più ricca di me. E questo tuo padre lo sa bene. Ma non avrò altre occasioni
e non posso giocare male le mie carte. Carte, ecco. Non avevo alternative.
Simulare qualcosa che non ho. Così ho riempito il portafogli di carte,
lasciando gli ultimi giri alle banconote. E più si gonfiava, più riempivo.
Perché non potevo sfigurare. E quando fu pieno fino a scoppiare di nulla, lo
infilai nel gilet e attesi il cavallo del mio intermediario. Ora sono qui con
lui e proteggo con la mano il portafogli dagli urti e dagli sbalzi prodotti da
questa strada sterrata.
La famiglia De Marinis mi
accoglie nella sala più grande. Al primo piano. Anche loro desiderano distinguersi
per opulenza nel giorno in cui il primo corteggiatore chiederà la mano della
sedicenne. Elisabetta è la protagonista, eppure è seduta mestamente nel posto più
lontano, come se qualcuno volesse proteggere fino all’ultimo istante la sua
purezza dal primo maschio autorizzato a varcare quel confine per lei. Chissà se
un giorno, per amare una donna, i nostri figli saranno risparmiati da questa messa
in scena e dall’obbligo di proporsi di fronte a un pubblico di parenti e
conoscenti pronto a scrutarti nelle tasche e nei calzini, a intercettare e
valutare ogni tua smorfia e movimento. Ma in realtà sono ben accolto e faccio
del mio meglio per sembrare quello che in realtà credo di essere: un uomo
onesto. Il padre di Elisabetta ha adocchiato fin da subito quel dosso di
tessuto che non luccica, ma che modella la mia giacca a sinistra e lascia
immaginare una posizione economica degna di quella mano. Il portafogli riempito
di carte ha fatto il suo dovere. Se non mi si chiederà di aprirlo, non passerò
per poveraccio ed Elisabetta sarà più vicina. In caso contrario uscirò da
questo palco con la coda tra le gambe. E la mia reputazione in paese potrebbe
essere compromessa per sempre.
Ma se un uomo non rischia per
amore, per quale altra cosa al mondo val la pena rischiare? Io rischio per te
Elisabetta. Per portarti via con me. Si parla, qualcuno ride, il clima è
disteso. Non ho mai visto ceste così grandi, pullulanti di taralli e caciocavallo
stesi su teli bianchi di cotone che profumano di cenere. In masseria non hanno
bisogno di carte per mostrare il ben di Dio di cui si gode ogni giorno,
nonostante la miseria che affama queste terre pietrose. Il clima è gioviale, è
come se la mia convocazione fosse stata un semplice pretesto per festeggiare la
luce di giugno, l’ottimo raccolto, la salute che regna in questo fortino
agricolo. Ma lo è per gli altri, almeno fino a quando l’uomo di casa non si
pronuncerà. Visto che Elisabetta tutto può, tranne che esprimersi e decidere se
sarò o meno io l’uomo che per primo accarezzerà sotto le lenzuola.
Il padre mi osserva. Sa tutto di me. Dei miei commerci di legumi. Non ha bisogno di una sola parola in più sul mio conto. Probabilmente sa anche che il portafogli non contiene realmente tutti quei valori. Molti fogli, appunto, e poche lire. Ma quest’uomo sa anche che l’onestà vale più di ogni ricchezza e che non sarà il solo denaro a garantire un futuro di serenità all’amata Elisabetta. Ci guardiamo. Senza sfidarci. Con grande rispetto. Tocca a lui perdere una figlia, è giusto che prenda tutto il tempo necessario. Alla fine acconsente e non desidera prove. Lentamente sale una lieta e graduale approvazione della corte. E una splendida luce arancione trapassa i ricami delle tende in cotone della sala dove tenni il mio primo processo e fui assolto. Rientrai alli Nusce fiero di aver rischiato. Ero innamorato. Di giugno. Di Noci. Della vita. Di Elisabetta.
Domenico Laforgia ed
Elisabetta De Marinis si sono sposati alla fine dell’800. Elisabetta è stata
l’unica figlia ad abitare in paese. Gli altri hanno continuato le loro vite
nelle campagne della zona. Il portafogli di Domenico è ora conservato da una nipote
nella città di Fasano. Capiente, morbido, profuma ancora di vitello e di quell’inganno
studiato a fin di bene. Alcune settimane dopo la proposta di nozze, Domenico
fece un buon affare ed ebbe denaro a sufficienza per regalare un cappotto di
pelliccia alla futura moglie. Quel gesto confermò che era realmente benestante
e rassicurò ulteriormente il padre di Elisabetta. Vissero felici nel cuore
della Murgia.