sabato 7 agosto 2021

Consummatum Est


Musica consigliata
: Monumentale, Baustelle

La deforestazione dovrebbe essere trattata come un crimine contro l’umanità, e punita di conseguenza” (Stefano Mancuso).

Il 26 Aprile dell’anno del Signore 2021 abbiamo autorizzato il trapianto delle marze ai pazienti vegetali terminali di contrada Gallana. 68 alberi monumentali disposti liberamente in una “chiantata”, liberi di crescere nei secoli, in totale equilibrio e accordo con l’uomo affinchè ne sfruttasse i benefici senza alterarne o inquinarne lo spazio vitale. Chi conosce contrada Gallana, chi ha abitato queste terre negli anni, ne ha sempre riconosciuto la bellezza intrinseca dei luoghi. Terre fertili, falde acquifere così ricche da spingere in alcune stagioni l’oro blu in superficie, eleganti querce ad incorniciare sentieri sterrati, azioni antropiche ridotte a qualche recinzione fuori luogo o a tentativi di cementificazione bloccati per tempo. E ulivi. Tanti. Tantissimi. Il nostro immenso bosco coltivato. Il nostro orgoglio “monumentale”. Presidiato da secoli da una chiesetta medievale, cuore pulsante di una comunità orgogliosa e fortunata a poter coltivare e abitare piccoli appezzamenti in questa zona. Chiunque, oggi, nell’era della rivincita del turismo rurale, desidererebbe vivere la sacralità di queste terre, villeggiare dove l’uomo ha trovato il suo paradiso in terra fino al XX secolo, dove si sono alternate intere generazioni, dove qualcosa di importante è sempre stato se si battezzava in una chiesa di campagna a tre navate totalmente affrescata, se i pellegrinaggi verso la Terra Santa e gli scambi commerciali dell’Appia antica passavano da queste parti, se il rito delle cientu cruci è scolpito nell’anima della gente. Gallana non è una semplice contrada, è uno spaccato della storia pugliese e una perfetta rappresentazione delle sue peculiarità paesaggistiche.

La Xylella, senza bussare, è arrivata anche qui. Sapevo che questi alberi avevano una tempra superiore, infatti in molti casi hanno resistito più degli altri. Ma la condanna a morte è stata scritta anche per loro, è una questione di mesi, se non di settimane in alcuni casi. Non è la piana degli ulivi secolari con vista mare, è un angolo di Puglia nascosto senza masserie d’élite con piscina o ricostruzioni artificiali di borghi mai esistiti. Ma è la vera anima di questa regione. Dimenticata.

Cosa accadrà? Cosa ne sarà di queste terre? Innanzitutto assisteremo ad una graduale riduzione di CO2 assorbita con conseguente aumento di CO2 libera in atmosfera, amplificazione dell’effetto serra, aumento delle temperature. Se è vero che ogni ulivo assorbe in media 9,542 tonnellate di CO2 all’anno, per il solo terreno che mi riguarda nei prossimi 20 anni gli ulivi di contrada Gallana non contribuiranno a trattenere circa 13000 tonnellate di CO2 che resteranno inevitabilmente in atmosfera. Non servono menti eccelse per moltiplicare questi numeri e rilevare la drammaticità dei potenziali effetti, sia a livello locale che globale. Assisteremo a fenomeni di desertificazione. Le aree a bosco, infatti, durante il giorno si riscaldano più lentamente, il calore assorbito dal terreno viene invece rilasciato più lentamente. L’ombra delle chiome e il fenomeno di evapotraspirazione riducono le temperature estive fino a 9 gradi. Un albero, in determinate condizioni, può traspirare infine fino a 400 litri d’acqua, numeri che possono competere con 20 condizionatori accesi contemporaneamente. Questa assenza renderà meno netta la differenza di temperatura tra le aree rurali e la città, sempre più alle prese con l’effetto isola di calore.

Come se non bastasse, oltre all’aumento di CO2, alla riduzione di ossigeno e alla cattura di polveri sottili, assisteremo ad una progressiva perdita di biodiversità. Nel giro di pochi anni elimineremo strutture e dimore vegetali in grado di assicurare vita e riparo a piccoli invertebrati, insetti, roditori, rettili e uccelli, così come al nostro bel paffuto muschio verde che sorrideva a Nord (comunque in via di estinzione nei nostri presepi a causa del suo omonimo sbiadito esemplare artificiale di Taiwan). Non sappiamo in quali luoghi i nostri animali proveranno a sopravvivere, sappiamo per certo che saranno sempre più rare la loro compagnia e il loro canto nelle nostre estati mediterranee.

Il paesaggio, infine. Anche ipotizzando una immediata e massiccia rigenerazione agricola, l’ecosistema sarà compromesso per sempre. La Puglia d’amare, il Salento del boom turistico, la “Regione più bella del mondo secondo il National…” dovrà fare i conti con uno sconquasso che non lascerà indifferenti. E solo allora ci renderemo conto che la nostra terra non è solo il mare, che andava contrastata la demenza di coloro che scrivono 46 agosto (fieri di poter fare l’ennesimo bagno a 40° il 16 settembre, come se una Puglia bruciata per settimane dal sole fosse motivo di vanto, come se le piogge fossero un disturbo, come se la sete fosse sempre calmierata da bacini limitrofi che si autoalimentano magicamente), che i pugliesi veri erano quelli che aravano minuziosamente la terra rossa per favorire quei contrasti di rosso-verde-blu che sono i veri colori del nostro habitat. Le nostre sconfitte non arrivano solo da lontano. Ogni fenomeno di impoverimento ha diverse concause, migliaia di genitori hanno indirizzato diversamente le proprie pratiche educative se nella formazione dei propri figli l’ulivo è poco più di un oggetto da set fotografico e non parte essenziale della nostra esistenza. Basta vedere quanti bambini saranno fotografati nell’ultimo abbraccio ad un albero a rischio eradicazione rispetto a coloro che saranno inquadrati nelle storie di fb, vestiti di tutto punto con sneaker plasticose ai piedi e fontane di fiammelle a sciogliere stampe digitali commestibili. I miei nonni, grazie agli ulivi, hanno contribuito a far laureare i loro figli. È vero, probabilmente non hanno mai ricevuto schiaffi dal mercato come un quintale di olive acquistato a 10,00 euro. Ma le stagioni agricole non hanno mai garantito la certezza delle produzioni e sono sempre state a rischio agenti atmosferici, estremi e non. Ora intere generazioni non conoscono neanche i confini delle terre ereditate, figuriamoci se sono in grado di curarle, ripulirle o coltivarle. Siamo tutti dannatamente concentrati sui servizi, ma l’anima naturalistica e produttiva della nostra terra è stata svenduta nel nome di una graduale annichilimento delle professioni del bracciante e del coltivatore diretto. Se oggi le nostre terre sono ancora popolate di alberi plurisecolari, è perché qualcuno le ha coltivate, rendendo di fatto impossibile ogni forma di annientamento diretto o indiretto come roghi, estirpazioni selvagge o calamità varie. Va ricordato, infine, che ville e terreni senza alberi perdono il loro valore di mercato, divenendo oggetto di pericolosissime speculazioni o indirizzando altrove gli interessi degli investitori. A chi interessa soggiornare in un’abitazione rurale salentina senza ulivi? Le contorte gibbosità degli ulivi, agli occhi attenti di progettisti sensibili, hanno un valore altissimo in quella disciplina che classifichiamo come “garden design”. Nulla a che vedere con l’anonimato formale di alcune piante esotiche importate in area mediterranea alla ricerca di soluzioni verdi per differenziarsi dall’erba del vicino.

Cosa sarà di questi innesti? Gli innesti sono tentativi disperati, prove di coraggio, manifestazioni di gratitudine. Chi non darebbe acqua ad un viandante assetato? Chi non farebbe l’ultimo viaggio della speranza per allungare la vita di un proprio caro? L’innesto potrebbe morire, potrebbe essere soffocato in uno slancio vegetativo della cultivar originale, potrebbe essere attaccato da insetti e parassiti. L’innesto potrebbe avere vita molto breve, ma tiene acceso un lumicino, la piccola fiamma di chi non si rassegna, di chi riproduce musica nei pressi di un paziente in stato comatoso con la speranza che la stimolazione neurale possa contribuire al suo risveglio. Alla domanda se innestare o meno, la maggior parte delle persone con le quali ho avuto il piacere o il dispiacere di conversare, ha risposto che anche a fronte di un albero salvato, non avrebbero fruttificato più come una volta, sarebbero rimasti ruderi improduttivi sui quali impegnarsi per una costosa manutenzione ad oltranza. Il popolo degli olivicoltori, gli ultimi discendenti della cultura dell’ulivo, hanno iniziato a decretare la morte dei loro fidati alberi nel momento in cui hanno iniziato a pensare che, in fin dei conti, questi singoli meravigliosi ecosistemi non valessero più di tanto. Ecco, è tutta qui la risposta della nostra anima contadina del XXI secolo. Se non produce, non mi serve.

Nasce quindi spontanea l’ultima riflessione. Se l’ulivo non produce, se un tappeto infinito di chiome non genera più quel senso di appartenenza tipicamente pugliese, se abbiamo perso anche l’ultima poesia che una libera ramificazione oppone ad una insensata siepe pronta per essere scossa dalla meccanica di ultima generazione, non ci sarà resistenza che tenga. Se anche il vecchio contadino (padre adottivo, figlio e spesso amante di quel trionfo ligneo di torsioni) sposa il detto che carmina non dant panem, diamo il benvenuto alla nostra fine. O all’inizio di qualcun altro che avrà fiutato le infinite opportunità vitali della mors tua

Quindi lascia perdere i dibattiti, la rete, i palinsesti, per un giorno non studiare, non chattare, ma piuttosto stringi forte chi ti ama” (Baustelle).

E la politica? La politica, semplicemente, non c’è stata. La politica ha osservato a distanza, fingendo forti dispiaceri rispetto alla consapevolezza del concorso di colpa per questo misero lascito alle future generazioni. La politica non ha mai letto Stefano Mancuso e la sua “La Nazione delle Piante”. La politica non ha la cultura dell’albero. La politica oggi gira la Puglia in camicia di lino e fa i talk a bordo piscina argomentando le possibili future alleanze. La politica non si è mai messa a conversare con un contadino all’ombra di questi monumenti. La politica, oggi, ha scelto prevalentemente i ristori. Come se 100,00 euro ad albero fossero la giusta ricompensa per chi ha perso tutto ciò che aveva, dall’ossigeno, alle macchine, all’idea di un autunno operoso, alla moneta per andare avanti. La politica ha assistito all’evolversi degli eventi, un po’ come coloro che assistono ad un rally a bordo strada, consapevoli che alla prima sbandata la vita e quindi l’intero equilibrio regionale sarebbe andato in tilt. Nei cartelloni estivi dei nostri comuni, mentre fuori si consuma la più grande tragedia del nostro territorio, nessuno spazio dedicato all’analisi del presente e allo sviluppo di nuove strategie per ripensare un territorio sul cui suolo giocheremo la conservazione della nostra stessa specie. La Xylella disturba, non attrae, parlare di Xylella fa male. È lo stesso trattamento che riserviamo ai nostri conoscenti gravemente ammalati: per paura di ritrovarci senza parole o di suscitare sentimenti pietosi, evitiamo persino di andare a trovarli. Non siamo gli unici ad aver subito epidemie di questo tipo, ma la nostra reazione è davvero confusa, isolata, carica di rassegnazione. Oltre a snobbare i successi altrui, siamo diventati bravi a sotterrare anche i nostri fallimenti.

Consummatum Est è lo scatto che voglio lasciare ai figli di questa città. Un Cristo crocifisso dallo sguardo mesto, coronato da un cappuccio nel quale sono state appena innestate come spine marze di Leccino. Un punto di vista alternativo sulla Passione degli ulivi di Puglia. Un albero che diventa Cristo, senza altari e senza fiori, in un cielo plumbeo come fossero le tre sul Gòlgota. Questo albero sarà il simbolo di un’epoca che finisce, del nostro fallimento più grande, di una eredità che abbiamo consumato e dilapidato per fare spazio al regno delle motoseghe, allo sfruttamento agricolo intensivo, alla cancellazione di un paesaggio. Abbiamo sbagliato tutto, abbiamo sbagliato tutti.

"Pensiamo sempre troppo poco a quanto il paesaggio educhi lo sguardo, determini la geometria del pensiero. Fa di noi ciò che siamo, e magari più delle cose studiate, dei libri letti". (Paolo di Paolo, a proposito di “Pianura” di Marco Belpoliti).

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In questi anni ho selezionato 100 parole che hanno cambiato la Puglia. Mi piacerebbe dialogare con scuole, insegnanti e studenti interessati a conoscere e rappresentare passo dopo passo questo lungo e tormentato addio.

Un grazie speciale alle persone che hanno suggerito, supportato e innestato con amore gli ulivi di contrada Gallana: Enrico Pignatelli, Francesco Pignatelli, Davide Pignatelli, Vincenzo Lodeserto, Angelo De Michele.


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